La bolla dell’intelligenza artificiale non è solo un titolo da clickbait o un’allusione ai numeri che impazzano nei grafici delle startup. Sam Altman, CEO di OpenAI, l’ha definita chiaramente: “Sì, l’AI è in una bolla, ma la sua importanza rimane reale”. Il concetto è così affilato da tagliare il velo dell’ipocrisia finanziaria senza pietà. Non si tratta di una semplice speculazione tecnologica: stiamo osservando un fenomeno dove entusiasmo, paura e ambizione si intrecciano come in un cocktail Molotov. La differenza rispetto alle dot-com è sottile, ma fondamentale: l’AI non è solo software, è accelerazione cognitiva distribuita a livello globale.

Il paragone con la bolla delle dot-com non è casuale. All’epoca, gli investitori avevano trasformato ogni idea legata a internet in oro colato, gonfiando valutazioni e aspettative oltre ogni ragionevole previsione. Poi la correzione fu brutale, ma non cambiò la sostanza. Internet non era un fuoco di paglia, era la nuova infrastruttura del mondo. Lo stesso oggi vale per l’intelligenza artificiale. Altman mette in chiaro che la sopravvalutazione finanziaria non implica sopravvalutazione tecnologica. È una distinzione che pochi analisti hanno il coraggio di fare, perché è più comodo urlare al disastro o all’apoteosi.

ChatGPT intanto non sembra minimamente frenato da queste riflessioni. È già il quinto sito più visitato al mondo, con oltre 700 milioni di utenti settimanali. Un dato che lo colloca davanti a colossi consolidati e dietro solo ai supergiganti Google, YouTube, Facebook e Instagram. Altman ha detto di vedere chiaramente il percorso verso la terza posizione, superando i social di Meta. Poi però riconosce che la vera sfida, quella titanica, sarà scalzare Google. È un’affermazione quasi ironica nella sua sincerità, perché trasuda l’ambizione di chi punta a scalare l’Everest ma al tempo stesso sa che la vetta non perdona.

L’idea che ChatGPT possa diventare più grande di Google oggi sembra una provocazione, ma non dimentichiamo che vent’anni fa nessuno avrebbe scommesso che Facebook potesse detronizzare MySpace, eppure è successo. Le gerarchie digitali non sono mai immobili. La differenza, oggi, è che il gioco si svolge in uno spazio più compresso e feroce, con investimenti miliardari che accelerano ogni fase.

Altman gioca su due registri. Da un lato il realismo del dirigente che sa di essere al timone in un mare agitato, dall’altro la consapevolezza che l’AI non è un trend passeggero. La bolla esiste, ma non cancella la traiettoria. Al contrario, potrebbe essere il catalizzatore che separa i giocatori veri dai ciarlatani, le piattaforme di massa dai progetti destinati a svanire.

Le valutazioni delle startup AI hanno superato ogni logica tradizionale. Gruppi di tre persone con un’idea e un laptop ottengono milioni di dollari senza che un singolo cliente paghi. Questo comportamento da “bolla speculativa” non è casuale, ma fisiologico in mercati in rapida espansione. Sam Altman non lo nega: “Non è comportamento razionale. Qualcuno si farà male, qualcuno farà un sacco di soldi”. È una profezia auto-avverante, un sistema Darwiniano finanziario che premia chi capisce l’AI non solo come codice, ma come leva di potere economico.

La percezione comune confonde bolla con irrilevanza. La narrativa giornalistica si fissa sulle cadute e sugli scoppiettii dei funding. In realtà, la bolla dell’intelligenza artificiale è un filtro selettivo: separa chi sperimenta senza strategia da chi costruisce infrastrutture durature. OpenAI, ad esempio, investe trilioni di dollari in data center per alimentare GPT-5 e oltre, un messaggio chiaro: la crescita non è casuale, è pianificata. È come vedere un giocatore di scacchi muovere pezzi invisibili, mentre il pubblico applaude la confusione apparente.

Curioso notare come Altman mescoli ironia e serietà. In interviste e selfie con giornalisti, sorride e scherza sulla “bolla”, ma il messaggio è chirurgico. Il settore è in espansione incontrollata, ma chi controlla l’infrastruttura controlla il futuro. Questa è la sottile differenza tra una moda passeggera e una rivoluzione industriale digitale. Gli algoritmi non sono più semplici strumenti; diventano partecipanti attivi nell’economia globale.

Gli investitori devono capire che la bolla dell’intelligenza artificiale non è solo finanziaria, ma culturale e cognitiva. La pressione verso l’innovazione è costante. La competizione tra aziende non si limita al prodotto, ma si estende a talenti, dati e potenza computazionale. Il rischio reale non è la bolla stessa, ma l’ignoranza strategica di chi crede che l’AI possa essere ignorata fino a quando “qualcuno scopre come farla funzionare davvero”.

Tra le curiosità più ironiche c’è il paradosso della democratizzazione: più persone hanno accesso a modelli AI potenti, più il mercato diventa instabile, perché le stesse capacità che creano innovazione possono scatenare volatilità. Altman lo sa, ride dei tweet virali e dei titoli sensazionalistici, ma investe miliardi in server che nessuno vedrà mai. L’AI è un arsenale invisibile, e chi lo possiede decide i termini del gioco economico.

La bolla dell’intelligenza artificiale somiglia a un film già visto, ma con un finale diverso. Le dot-com sono scoppiate e molte aziende sono scomparse. Qui, la differenza è strutturale: il valore reale non è nelle singole startup, ma nelle piattaforme, nei dati e nei modelli di apprendimento avanzato. OpenAI sta giocando una partita di resistenza, preparandosi non solo a sopravvivere, ma a dominare quando il mercato si stabilizzerà.

Le implicazioni tecniche sono altrettanto affascinanti. L’espansione dei data center e l’ottimizzazione dei modelli significa che l’AI sarà più veloce, più intelligente e più capace di apprendere da interazioni complesse. Questo accelera non solo il progresso tecnologico, ma crea nuove dinamiche economiche: chi possiede la capacità computazionale controlla la narrativa, il flusso dei dati e in ultima analisi, il valore generato dall’intelligenza artificiale.

Ecco il punto chiave: la bolla dell’intelligenza artificiale non annulla l’innovazione. È un filtro, un meccanismo di selezione naturale tra hype e sostanza. Le aziende che sopravviveranno non saranno quelle che urlano più forte, ma quelle che combinano visione tecnica, strategia finanziaria e comprensione del mercato globale. Sam Altman lo sa: chi ignora la bolla rischia di essere travolto, ma chi la usa come leva può trasformarla in un motore di potere e influenza senza precedenti.

Guardando il quadro più ampio, il fenomeno della bolla AI è una lezione di economia comportamentale applicata alla tecnologia. Il pubblico investitore reagisce emotivamente, i governi tentano regolazioni che spesso arrivano tardi, e le aziende navigano un terreno instabile. Chi riesce a leggere i segnali non quelli dei media, ma quelli della performance reale dei modelli e della resilienza delle infrastrutture può trarre vantaggio significativo.

Ironia della sorte: il mondo osserva con ansia la “bolla” mentre l’innovazione accelera. L’intelligenza artificiale non aspetta che i mercati si calmino. Ogni giorno, nuovi algoritmi migliorano capacità di comprensione, generazione e interazione, cambiando settori interi, dal marketing alla salute, dalla finanza alla produzione industriale. La bolla non ferma la rivoluzione: la seleziona.

Sam Altman, con la sua miscela di ironia e strategia, lascia intuire un messaggio chiaro: la bolla dell’intelligenza artificiale è reale, palpabile e speculativa, ma il suo cuore pulsante rimane solido e trasformativo. Chi osserva deve distinguere tra rumore e sostanza. Le aziende che sopravvivono alla turbolenza non solo prospereranno, ma riscriveranno le regole del gioco globale. L’intelligenza artificiale non è un fenomeno temporaneo: è il nuovo terreno di battaglia per potere, capitale e innovazione.

Chi pensa di vedere solo bolle e hype sta perdendo lo spettacolo più grande del nostro tempo: la trasformazione cognitiva dell’economia mondiale. OpenAI non sta semplicemente cavalcando la bolla; la sta modellando, controllando e sfruttando. In un futuro dove l’AI sarà ubiqua, la differenza tra sopravvivere e dominare sarà chi ha saputo leggere, capire e investire nella sostanza nascosta dietro l’hype.

Tra sarcasmo e strategia, tra selfie con giornalisti e trilioni in server, la lezione di Altman è chiara: la bolla dell’intelligenza artificiale esiste, sì, ma la rivoluzione che porta con sé è inevitabile e troppo potente per essere ignorata. Chi resta a guardare pagherà il prezzo. Chi osa comprendere e partecipare alla partita, invece, potrebbe scrivere la prossima pagina della storia tecnologica globale.

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In fondo, come disse qualcuno durante il boom di internet, “le bolle sono il prezzo che paghiamo per sognare in grande”.