Immagina di essere davvero al Bar dei Daini, tavolino di ferro un po’ graffiato, caffè ristretto di arabica, e sul tavolo il giornale economico stropicciato con titoloni su chip, AI e miliardi che volano come coriandoli. Uno butta lì: “Hai visto che SoftBank si è messa a finanziare Intel per spingere Arm?” e l’altro scuote la testa come se fosse la mossa più naturale del mondo, mentre in realtà sa di danza geopolitica camuffata da investimento industriale. Non è tanto il capitale in sé, quanto il messaggio: Arm deve diventare la spina dorsale dell’AI europea e asiatica, e per farlo serve il muscolo tecnologico e produttivo di Intel. È come dire che un cavallo da corsa non basta, ci vogliono anche le stalle e i maniscalchi.

Poi arriva il tipo col giornale finanziario piegato sotto il braccio: “Altro ETF sull’intelligenza artificiale, Janus Henderson ci prova. Ma vi rendete conto che siamo al punto in cui si vende l’AI come si vendeva il grano nel Medioevo?”. Ridono, ma sanno che dietro quella battuta c’è il solito meccanismo: creare un contenitore patinato per mungere l’entusiasmo retail, mentre i venture capitalist seri si sono già messi a fare il vero gioco sporco con quei 122 miliardi pompati nel 2025. L’AI domina il venture capital come un monopattino parcheggiato in mezzo al marciapiede domina la viabilità urbana: ingombrante, inevitabile e pieno di promesse di efficienza mai mantenute.

E mentre si scherza, uno con l’iPhone in mano butta lì che Meta vuole ristrutturare la sua divisione AI. Subito l’altro, con tono da cinico, commenta: “Ristrutturare in Meta vuol dire che qualcuno a Menlo Park ha fatto un PowerPoint con grafici troppo colorati e Zuckerberg ha deciso di spostare sedie e titoli di job description”. In realtà, dietro le frizioni interne, c’è la fatica di tenere insieme ricerca pura, applicazioni commerciali e la narrativa di essere tra i big dell’AI quando Nvidia e DeepSeek giocano un campionato diverso.

Già, DeepSeek. L’aggiornamento al V3 del loro modello sembra quasi un colpo basso, presentato con la leggerezza di chi sa di avere un’arma nuova ma non vuole ancora mostrarne la lama.

Secondo un post di DeepSeek nel suo gruppo ufficiale WeChat, la versione 3.1 ha una finestra di contesto più ampia, permettendo di considerare più informazioni per ogni query. Questo potrebbe migliorare la gestione di conversazioni più lunghe con una migliore memorizzazione. La startup di Hangzhou non ha fornito molti dettagli sull’aggiornamento né ha pubblicato documentazione sulle principali piattaforme come Hugging Face.

Nel bar, qualcuno mormora: “È la Cina che si fa il suo ChatGPT in salsa di peperoncino piccante”, e intanto Nvidia è costretta a inventarsi un chip per la Cina che batte l’H20 ma deve sottostare alla burocrazia delle licenze. Bessent, quello che parla sempre di sicurezza nazionale, intanto sostiene che la quota americana in Intel è vitale, perché ormai i chip sono più importanti delle portaerei.

Il nuovo chip, chiamato B30A, utilizza un design a singolo die che offre circa metà della potenza della scheda acceleratrice B300 a doppio die di Nvidia, secondo fonti. Un singolo die significa che tutte le parti del circuito integrato sono su un unico pezzo di silicio invece che suddivise. Il chip include memoria ad alta larghezza di banda e la tecnologia NVLink di Nvidia per una trasmissione dati veloce tra processori, caratteristiche già presenti nell’H20, basato sull’architettura Hopper.

Huawei presenta il chip Kirin all’interno degli smartphone 5G mentre l’azienda supera le sanzioni USA Progettato dalla controllata HiSilicon, il sistema su chip Kirin 9020 alimenta gli smartphone di fascia alta di Huawei, tra cui le serie Mate 70 e Pura 80.

Il bar si scalda quando si cita Nvidia, perché tocca corde di soldi veri. “Hai visto che deve chiedere il permesso per vendere i chip a Pechino?” e parte la risata: “Sembra un contrabbandiere che per spedire il whisky deve timbrare il modulo C7 alla dogana”. In realtà, dietro questa commedia c’è l’ennesimo braccio di ferro tecnologico tra Washington e Pechino, con la Silicon Valley che cerca di vendere senza sembrare complice, e la Cina che non vuole restare con le briciole.

Tra un sorso e l’altro si butta la cifra: 122 miliardi di dollari in investimenti AI. “È il nuovo petrolio”, dice uno. Ma l’altro lo corregge: “No, il petrolio lo potevi bruciare e ricavare energia, qui rischi di bruciare capitale e ottenere solo PDF con scritte ‘AI-powered’”. Tutti ridono, ma nessuno si alza: il bar dei Daini è diventato la Borsa del marciapiede, dove l’ironia è l’unico strumento di copertura contro la volatilità di un mondo che parla solo di chip, AI e miliardi che sembrano sempre troppi o sempre troppo pochi.