Negli anni immediatamente successivi alla Guerra Fredda, il mondo sembrava navigare su un’onda di ottimismo inarrestabile. Studiosi e policymaker predicevano un futuro dove democrazia, globalizzazione e pace avrebbero marciato di pari passo, consolidando un ordine globale stabile e progressista. Francis Fukuyama, con la sua celebre tesi della “fine della storia”, incarnava questa visione: la convinzione che l’evoluzione politica fosse ormai tracciata verso un modello liberale universale. Oggi, trent’anni dopo, quel quadro appare fragile e idealizzato, scalfito da nazionalismi risorgenti, instabilità politica e conflitti continui.
Negli anni ’90 la narrativa era chiara: la democrazia si sarebbe diffusa globalmente, i confini avrebbero perso rilevanza, le istituzioni internazionali e la liberalizzazione commerciale avrebbero mediato crisi e conflitti. La guerra sembrava destinata a confinarsi a stati piccoli o periferici, mentre il progresso economico e tecnologico avrebbe accompagnato una crescita globale armoniosa. L’illusione era totale: il mondo come laboratorio di ottimismo universale.
La realtà ha smentito ogni previsione. Nazionalismi e sovranità sono tornati al centro della politica internazionale, mentre regimi autoritari hanno resistito e persino rafforzato la propria influenza, sfidando la previsione di una democratizzazione universale. La globalizzazione economica ha subito battute d’arresto, ostacolata da guerre commerciali, protezionismo e disuguaglianze crescenti. Conflitti armati e tensioni regionali, da 9/11 all’Iraq, dall’Ucraina a Gaza, hanno dimostrato che la violenza rimane un elemento centrale della geopolitica, ben lontana dall’essere confinata a contesti marginali.
Il motore nascosto di questa inversione di rotta è la paura. Minacce percepite e reali terrorismo, migrazioni, pandemie, cambiamento climatico hanno alimentato ansia pubblica e sfiducia nelle élite globali. Leader populisti hanno saputo capitalizzare queste paure, promettendo sicurezza, protezione e stabilità, spesso a scapito degli ideali liberali. L’ottimismo progressista, la narrativa di fiducia nelle istituzioni internazionali e nei diritti universali, ha ceduto il passo a una politica difensiva, centrata sulla sicurezza e sulla salvaguardia nazionale.
Il collasso dell’ottimismo liberale non è una mera curiosità accademica: ridefinisce il modo in cui le società vengono governate. La fiducia nella cooperazione globale si è erosa, lasciando spazio a populismo, autoritarismo e nazionalismo aggressivo. La visione di un ordine mondiale pacifico e liberale è stata minata non solo da previsioni errate, ma anche dalle ansie collettive di società che affrontano incertezza, crisi economiche e trasformazioni rapide.
Comprendere come la paura abbia sostituito l’ottimismo è fondamentale per decifrare il mondo contemporaneo. Il quadro geopolitico odierno, instabile e frammentato, non nasce da un fallimento teorico isolato, ma dall’interazione tra eventi globali e percezioni sociali. La domanda critica non è solo capire perché il liberalismo sia in recessione, ma se un rinnovamento liberale sia ancora possibile in contesti segnati da ansia, polarizzazione e timori profondi. La sfida è costruire una narrativa credibile che possa ripristinare fiducia, cooperazione e prospettive di lungo termine, senza cedere al richiamo immediato della paura.
Fonte: Francis Fukuyama, Foreign Affairs, World Politics Review, Council on Foreign Relations