Google ha deciso che l’intelligenza artificiale non deve più limitarsi a suggerire come scrivere un’email o correggere una foto storta. Adesso entra direttamente nel terreno da sempre considerato intoccabile: i videogiochi. Non quelli da console con budget miliardari e grafica da Oscar, ma il regno che genera più fatturato di tutti, quello del mobile gaming. Nei prossimi mesi comparirà un overlay dentro i giochi scaricati dal Play Store, un’interfaccia che permetterà di chiedere aiuto direttamente a Gemini Live senza interrompere la partita. Si tratta di un passo interessante, ma anche inquietante, perché ribalta il concetto stesso di sfida e progresso in un videogioco. La domanda è semplice: se è l’IA a dirti dove andare, chi sta davvero giocando?

Gemini Live potrà “vedere” lo schermo e adattare i suggerimenti in tempo reale, un approccio che ricorda da vicino il Gaming Copilot che Microsoft ha inserito su Windows 11 e nell’app Xbox mobile. Il giocatore potrà fare domande a voce e ricevere risposte udibili, come se fosse un copilota digitale sempre pronto a sussurrare il trucco giusto. L’esperienza suona futuristica, quasi da film di fantascienza, ma porta con sé una nuova forma di dipendenza. Non più solo da notifiche e ricompense virtuali, ma dall’idea che non serva più sforzarsi per superare un livello. La gratificazione immediata, senza fatica, diventa la norma, e questo ha conseguenze non solo sul gaming, ma sul modo in cui apprendiamo e affrontiamo le sfide.

Il business dietro questa mossa è evidente. Con oltre 200.000 giochi disponibili tra mobile e PC grazie all’espansione di Google Play Games, l’obiettivo è moltiplicare il tempo speso dagli utenti dentro l’ecosistema. Aggiungere un assistente vocale in-game significa trattenere l’attenzione, evitare che il giocatore apra una seconda finestra per cercare soluzioni su YouTube o Reddit. In altre parole, Google vuole internalizzare la ricerca e impedire la fuga di traffico verso piattaforme concorrenti. Ogni domanda fatta a Gemini diventa una query che non passerà più per il motore di ricerca tradizionale, ma che rafforzerà l’uso del nuovo layer di AI generativa integrata nel Play Store.

Dietro la facciata user-friendly c’è anche una raffinata operazione di raccolta dati. Per suggerire come affrontare un livello, Gemini deve sapere esattamente dove sei, cosa hai fatto, quanto tempo hai speso in un punto e persino come reagisci a un ostacolo. Queste informazioni non hanno valore solo per migliorare l’esperienza, ma soprattutto per profilare i comportamenti e vendere insight agli sviluppatori. Se un livello fa abbandonare il gioco a troppi utenti, Google avrà le metriche per consigliarne l’ottimizzazione, trasformando l’IA in un consulente di design e monetizzazione. È un nuovo livello di sorveglianza travestito da comodità.

La scelta di portare questa funzione anche su PC non è un dettaglio. Tre anni dopo il lancio della beta, Google estende Play Games su desktop, posizionandosi come alternativa all’ecosistema Windows e allargando il dominio del mobile gaming in territori che un tempo erano riservati ai gamer hardcore. Con la scusa della continuità cross-platform, il colosso sta creando un ambiente dove il giocatore non può più uscire dalla sua infrastruttura digitale, che sia su smartphone o computer. Non è un caso che contemporaneamente arrivino anche le nuove pagine del Play Store “potenziate”, con panoramiche su progressi, achievement e update degli sviluppatori. Non più un semplice catalogo di giochi, ma una piattaforma sociale, con Q&A integrati dove i giocatori stessi possono rispondere alle domande degli altri. Un modo elegante per trasformare la community in servizio clienti gratuito.

Questa mossa di Google è una dichiarazione di guerra silenziosa. Non solo contro Microsoft, che con Copilot ha già fatto la prima mossa, ma anche contro Twitch, YouTube e persino i forum tradizionali, che vivono di guide e walkthrough. Se il consiglio arriva dall’IA direttamente nel gioco, a cosa servono più i creatori di contenuti che hanno costruito imperi economici su tutorial e gameplay? L’IA non si limita a rubare traffico, ma ridisegna il flusso dell’attenzione, spostandolo da spazi aperti e indipendenti a uno spazio chiuso e proprietario.

Qualcuno potrebbe obiettare che tutto questo non è che un’estensione naturale di ciò che già facciamo. Guardiamo soluzioni su Google, chiediamo aiuto a forum, guardiamo video su YouTube. Ora lo stesso meccanismo è semplicemente più immediato. Ma c’è una differenza sostanziale: qui l’IA entra nella meccanica stessa del gioco, lo osserva, lo interpreta, lo semplifica. Non è più un supporto esterno, ma parte integrante della dinamica ludica. E quando la sfida viene ridotta a un suggerimento vocale, il concetto di “giocare” si svuota, trasformandosi in un’esperienza passiva, quasi automatizzata.

In un mondo in cui già oggi molti titoli mobile sono più simili a piattaforme di monetizzazione che a opere creative, la prospettiva che l’intelligenza artificiale diventi il coach digitale non fa che accentuare la mercificazione del gioco. “Gamification” era la parola d’ordine di dieci anni fa, ora il rischio è la “AI-ification”, dove ogni passo è guidato, misurato e monetizzato. Non ci resta che chiederci se i gamer del futuro giocheranno davvero o se, come sospetto, sarà l’IA a giocare al posto loro, lasciando agli umani solo l’illusione di partecipare.