Chiunque abbia un account Gmail o Outlook sa che la casella di posta è la versione digitale di un ufficio caotico. Ci sono promesse di contratti non ancora letti, inviti che si moltiplicano più velocemente delle riunioni stesse e comunicazioni passive-aggressive che richiedono il doppio della pazienza di quanto meritino.

Perplexity, il motore di ricerca che vuole scardinare l’egemonia di Google, ha deciso di trasformare questo caos in opportunità con il lancio del suo nuovo Email Assistant, riservato agli abbonati Max.

È un software che si insinua direttamente nella posta elettronica e promette di diventare il segretario che non ti puoi permettere, quello che filtra, organizza, risponde e pianifica, mentre tu fingi di avere ancora un minimo di controllo sulla tua vita digitale.L’assistente non è un semplice filtro spam rivestito di buzzwords. È un sistema capace di triage: seleziona ciò che è urgente, ciò che richiede un follow-up e ciò che può tranquillamente aspettare, trasformando la posta in una gerarchia razionale invece di un flusso ansiogeno. Non si limita a suggerire risposte preconfezionate come le scorciatoie di Gmail, ma produce bozze di email con il tono dell’utente, così che tu non debba cominciare da zero.

La promessa è semplice: meno tempo a fissare il cursore lampeggiante, più tempo a fare quello che, in teoria, dovrebbe essere il vero lavoro.

Poi c’è il calendario, la maledizione moderna dei professionisti. L’assistente analizza i thread e propone orari per le riunioni, gestendo lo scambio infinito di “ti va bene martedì alle 15 o mercoledì alle 10” che costituisce ormai il 40 percento del traffico globale di email.

Infine, la funzione che farà innamorare i manager: la ricerca in linguaggio naturale. Basta digitare “mostrami gli elementi urgenti del design di questa settimana” o “riepiloga tutte le note sul budget del quarto trimestre” per trasformare la casella in un archivio semantico che fa impallidire le funzioni native di Google e Microsoft.La narrativa ufficiale di Perplexity è che questo strumento farà guadagnare ore preziose.

Il che è vero, almeno sul piano dell’efficienza. Ma il punto è un altro. La posta elettronica non è solo un disordine da domare, è anche un registro implicito della memoria aziendale, un campo di responsabilità personale e, soprattutto, un’estensione della propria reputazione. Delegare questo spazio a un assistente artificiale significa delegare anche parte della propria identità professionale. Si rischia di trasformare ogni interazione in una simulazione di se stessi, un avatar testuale che risponde in nostro nome.

Davvero vogliamo che il nostro io digitale venga gestito da un algoritmo con la pretesa di conoscerci meglio di quanto ci conosciamo noi? Non è forse questo il preludio a un futuro in cui le conversazioni lavorative saranno scambi tra software, con esseri umani relegati a osservatori distratti?

Quando due Email Assistant si troveranno a negoziare un incontro, quale sarà la differenza tra l’autenticità di un accordo e l’automatismo di un processo che non ci appartiene più?

La questione non è puramente filosofica. Chi detiene il controllo della posta detiene anche la mappa delle relazioni di un’azienda, il termometro della sua salute interna e la traccia dei suoi errori strategici. Consegnare questo patrimonio a un intermediario esterno significa aprire uno spiraglio di vulnerabilità non indifferente.

Perplexity promette sicurezza e riservatezza, ma la storia ci ha insegnato che la tecnologia vive di promesse infrante e di incidenti prevedibili. Se Outlook e Gmail sono già i forzieri dei nostri segreti aziendali, un layer ulteriore di intelligenza artificiale non rischia di diventare la porta sul retro che nessuno aveva chiesto?

Al tempo stesso, sarebbe ingenuo sottovalutare l’attrattiva del risparmio di tempo. La verità è che la maggior parte dei professionisti sarebbe pronta a cedere un pezzo di sé pur di evitare la noia delle risposte ripetitive.

Forse l’Email Assistant di Perplexity non è altro che lo specchio delle nostre priorità: preferiamo apparire produttivi piuttosto che esserlo davvero. È il capitalismo dell’attenzione nella sua forma più pura, travestito da efficienza aziendale.

Non sfugge l’ironia che il tool arrivi proprio da Perplexity, piattaforma che si posiziona come alternativa al dominio di Google e che ora entra nel territorio più intimo della produttività individuale. È un passo logico, ma anche un azzardo. Se conquisterà la fiducia degli utenti, l’azienda non sarà più solo un motore di ricerca con ambizioni, ma un attore diretto nel teatro delle nostre vite quotidiane.

Se invece fallirà, resterà l’esperimento di un software che ci ha ricordato quanto fragile sia l’illusione del controllo quando lo deleghiamo a un algoritmo.

Vuoi sapere qual è il dettaglio più inquietante? Probabilmente questo articolo finirà proprio nella tua inbox, e forse sarà il tuo nuovo assistente a decidere se vale la pena leggerlo o lasciarlo marcire tra le email non lette. In quel momento ti accorgerai che la differenza tra te e il tuo avatar digitale si è ridotta a una questione di priorità calcolate da qualcun altro e non sarà più chiaro chi dei due sta lavorando per chi.

blog Perplexity

https://www.perplexity.ai/hub/blog/a-personal-assistant-for-your-inbox?utm_source=Generative_AI&utm_medium=Newsletter&utm_campaign=google-prepares-for-ai-that-refuses-to-shut-down&_bhlid=6d62d626b83b8ea9f1f98026c8c58e7b771dd3a9