Un gruppo di ricercatori ha deciso di trasformare un vecchio enigma della blockchain in un esercizio da laboratorio di fantascienza. L’hanno chiamato Swarm Oracle, un sistema di robot autonomi che raccolgono dati dall’ambiente e, grazie a un protocollo di consenso bizantino e a un meccanismo di reputazione con token, riescono a concordare la verità anche sotto attacco. Non parliamo più di oracoli centralizzati come Chainlink, che aggregano feed di dati da fonti diverse con il rischio di reintrodurre punti di fallimento nascosti, ma di una comunità mobile di piccoli automi che penalizzano i bugiardi e premiano gli onesti. Se un robot mente, perde credibilità. Se insiste, viene escluso. È la versione robotica del darwinismo reputazionale.

Il problema dell’oracolo, come sanno bene gli architetti di Ethereum, nasce dal fatto che una blockchain è trustless per definizione. Ogni nodo verifica le transazioni, ma nessuno può verificare quello che accade fuori dalla catena. Le smart contract dipendono da input esterni, e la loro affidabilità crolla se questi input sono manipolati. La soluzione classica è stata creare servizi di oracoli centralizzati travestiti da decentralizzati, con procedure di aggregazione opache e costi crescenti. Con Swarm Oracle invece i dati nascono sul campo, tra terreni alluvionati e cieli inquinati, raccolti da macchine semplici e ridondanti. È il sogno della DePIN economy, dove infrastruttura e informazione sono distribuite nello spazio fisico, non solo in nodi di calcolo remoti.

La parte più interessante non è il romanticismo ingegneristico di vedere sciami di Pi-Pucks, piccoli robot alimentati da Raspberry Pi, muoversi come colonie di formiche elettroniche. È la logica di auto-riparazione del sistema. In un esperimento pubblicato su Nature nel 2023, gli scienziati hanno mostrato che lo sciame mantiene l’accuratezza del consenso anche quando un terzo dei robot viene sabotato, mente deliberatamente o tenta di bloccare fisicamente i compagni. Adesso questa resilienza viene proiettata dentro un contesto blockchain: una catena permissioned locale per gestire i dati senza connessione internet costante, e un meccanismo per caricare le decisioni consolidate su Ethereum. La trasparenza è garantita, il traffico di comunicazione si riduce, l’intera architettura resta scalabile. O almeno così sulla carta.

I ricercatori non negano le difficoltà. Se un robot malintenzionato imita perfettamente il comportamento di uno onesto, il sistema rischia di non distinguerlo subito. Le disconnessioni temporanee si superano, ma lunghe distanze possono spezzare la coesione. In più, i test sono stati condotti con robot identici in laboratorio, non con sciami eterogenei in scenari di guerra, disastri naturali o reti urbane congestionate. La scalabilità è la vera montagna da scalare. Non a caso gli stessi autori parlano di “potenziale” applicativo, non di un deployment imminente.

L’uso pratico sembra però scritto nei desideri delle compagnie di assicurazioni e nei modelli economici dei nuovi network decentralizzati. Immaginate robot che verificano danni da alluvione senza inviare periti umani, oppure sciami che monitorano la qualità dell’aria in aree industriali, registrando i dati in modo immutabile e trasparente. Le DePIN networks, che puntano a costruire reti fisiche distribuite basate su incentivi cripto, avrebbero finalmente un oracolo non solo digitale ma tangibile. Il tutto senza dipendere da feed di dati manipolabili, centralizzati o soggetti a lobbying.

C’è un lato ironico in questa visione. I critici della blockchain hanno sempre accusato il settore di essere troppo astratto, di vivere in un mondo autoreferenziale di token e protocolli che ignorano la realtà materiale. Ora arriva un progetto che mette letteralmente piede sul terreno, con ruote e sensori. È come se la blockchain, stanca di giocare in borsa con stablecoin e derivati DeFi, si fosse comprata degli scarponi da trekking. Una tecnologia nata per sfuggire al mondo fisico si reinventa come strumento per interpretarlo.

Il confronto con Chainlink e con altri oracoli software diventa inevitabile. Lì abbiamo algoritmi che aggregano dati da fonti online. Qui abbiamo macchine che si sporcano di polvere. È come confrontare un analista finanziario da ufficio con un reporter di guerra. Entrambi raccolgono informazione, ma uno rischia di più e, forse per questo, ispira maggiore fiducia. Resta da capire se i costi della robotica possano davvero competere con l’economia di scala del software puro. Un esercito di robot non è cheap cloud computing, e gli investitori non amano i margini bassi.

Gli autori parlano di reputazione tokenizzata, e già questo suona come un ponte verso un’economia in cui gli agenti autonomi possiedono wallet cripto e prendono decisioni economiche. Non è fantascienza: diversi sviluppatori stanno integrando portafogli digitali direttamente dentro droni e veicoli autonomi per consentire microtransazioni istantanee. Pensate a un robot che decide da solo quale percorso seguire per una consegna perché un contratto intelligente gli ha appena accreditato una fee più alta. O a una rete di robot-sensori che monetizza i propri dati in tempo reale, vendendoli a smart contract senza intervento umano. È il mercato delle macchine che trattano con macchine, e l’oracolo robotico diventa il garante della realtà in questo mercato.

Naturalmente, il passaggio dal laboratorio al mondo reale è una giungla. L’adozione sarà frenata dalla diffidenza verso l’intelligenza artificiale e dalla resistenza culturale a lasciare che “robot” decidano cosa è vero e cosa non lo è. Ma ricordiamo che la stessa diffidenza c’era all’inizio di Internet, quando affidare le transazioni bancarie a una rete aperta sembrava pura follia. Oggi ci scandalizziamo più per i costi di gas fee che per il concetto di trustless network. È solo questione di tempo prima che qualcuno decida di scommettere sul valore dei dati raccolti da uno sciame e di scriverlo nero su bianco in un contratto su Ethereum.

Questa corsa agli oracoli non è secondaria rispetto alla mania delle valutazioni stellari. Mentre Tether sogna di raggiungere i 500 miliardi di dollari di market cap con un aumento di capitale da 20 miliardi, gli scienziati dell’oracolo robotico mostrano che la vera infrastruttura del futuro non è fatta di token speculativi ma di dati affidabili. Senza dati, nessuna stablecoin regge, nessun DeFi protocol funziona e nessuna narrativa Web3 convince davvero. Alla fine, il valore delle catene non è scritto negli smart contract, ma nella veridicità delle informazioni che li alimentano. E lì, paradossalmente, la blockchain ha bisogno di fidarsi di un piccolo sciame di macchine con sensori economici e una logica di consenso bizantino.

Vuoi la verità? Nel mercato dei dati la verità è l’asset più raro e più caro. E se per ottenerla servirà ascoltare uno stormo di robot, potremmo dover accettare che il nuovo oracolo di Delfi sia fatto di Raspberry Pi su ruote.

Studio Nature: https://www.nature.com/articles/s41598-023-46238-1