Il mercato non è stupido: quando Meta (NASDAQ: META) discute con Google (NASDAQ: GOOG / GOOGL) di usare i suoi modelli Gemini per potenziare il targeting pubblicitario, è un segnale che qualcosa non sta funzionando come vorrebbero nell’intelligenza artificiale interna di Meta. Secondo un’inchiesta de The Information, alcune squadre interne di Meta hanno valutato di affinare i modelli Gemini (e Gemma) con i dati pubblicitari propri, per migliorare performance, comprensione del contenuto e segmentazione.Dopo l’annuncio, il titolo Meta è sceso dello 0,5 % in trading post-mercato, mentre Google ha guadagnato circa l’1 %.
Ma prima di grattarsi la testa e chiedersi se sia “vergognoso” che un gigante dell’AI guardi fuori, conviene capire le dinamiche in gioco: il costo dell’orgoglio tecnologico è alto quando gli avversari hanno curve di apprendimento più efficaci, infrastrutture migliori o modelli più maturi.
Una mossa pragmatica o l’ammissione di una debolezza?
Meta ha speso miliardi per sviluppare Llama, infrastrutture proprietarie, data center, reclutamenti di punta e ricerca avanzata. Però le discussioni con Google suggeriscono che i modelli interni non riescono a tenere il ritmo nei contesti più esigenti di targeting pubblicitario. La proposta interna di “tweakare” Gemini / Gemma con i dati Meta mette in luce che da qualche parte la scala, l’efficienza, la generalizzazione o il fine-tuning sono carenti nei modelli Meta.
È importante notare che le trattative segnalate sono ancora “preliminari” e potrebbero non sfociare in accordi vincolanti. Può darsi che Meta stia facendo scouting tecnologico, valutando prove o prototipi, senza abbandonare l’obiettivo a lungo termine di spingere sulla propria AI.
Questo non è un caso isolato: già in agosto si segnalava che Meta stava valutando di integrare modelli esterni (Google, OpenAI) nelle sue applicazioni per compensare i gap temporanei, mentre prepara il lancio di Llama 5.
Rischi, barriere e ragioni del silenzio pubblico
Primo rischio: la concorrenza. Google e Meta sono rivali diretti nel business della pubblicità digitale. Accogliere tecnologie del competitor significa aprire a conflitti di interesse, problemi di governance dei dati, accordi contrattuali più complessi e rischi strategici. Il rischio di “lock-in” è reale: se Meta finisse per dipendere dai modelli Google per certe fasce critiche del suo business, la capacità di innovare indipendentemente ne soffrirebbe.
Secondo rischio: dati e privacy. Affinare modelli con dati pubblicitari di Meta significa passare grandi quantità di dati sensibili tra entità. Le policy di privacy, compliance (GDPR, regolamentazioni sui dati degli utenti) e richieste regolatorie potrebbero essere ostacoli non banali. In Europa, qualsiasi accordo che comporti trasferimento di dati, uso combinato, o profilazione incrociata sarà attentamente scrutinato.
Terzo rischio: interpretabilità, controlli e trasparenza. Quando usi modelli di un altro soggetto, perdi parte del controllo su come le previsioni vengono generate, come vengono interpretati gli input, quali bias latentemente emergono. Meta deve garantire che i risultati siano etici, spiegabili, controllabili e con modelli esterni questo è più difficile.
Quarto ostacolo: performance e allineamento. Anche se i modelli Google sono molto sofisticati, non è detto che portino vantaggi immediati. Il processo di “fine tuning” sui dati Meta è complesso: bisogna evitare overfitting, garantire che il modello interpreti correttamente le peculiarità del traffico, non scalare male verso segmenti di nicchia, mantenere latenza e costo di inferenza accettabili.
L’assenza di conferme pubbliche da parte di Meta e Google è tipica di trattative sensibili. L’ironia è che il silenzio stesso diventa strumento: né vantare né negare troppo presto per evitare scossoni di mercato o commenti regolatori prematuri.
Impatti sul mercato e prospettive future
Il mercato ha reagito mosso da due esperienze: da un lato, l’idea che Google, noto per i suoi modelli AI maturi, possa essere “cliente tech” attrae ottimismo — un riconoscimento del valore intrinseco del suo ecosistema AI. Dall’altro, che Meta stia cercando aiuto altrove smorza l’aura dell’auto-sufficienza tecnologica.
Se un accordo concreto dovesse emergere, si aprono scenari interessanti:
- Meta potrebbe ridurre il tempo e il costo di miglioramento del targeting, intervenendo su un “motore modulare” (Gemini) piuttosto che reinventare da zero.
- Google rafforzerebbe ulteriormente la sua posizione AI nel motore della pubblicità digitale, guadagnando un cliente che è anche concorrente — un’evoluzione paradossale del concetto di “platform as a competitive moat”.
- Emergerebbero nuovi standard di collaborazione inter-AI: modelli “ibridi”, pipeline modulari, API di scambio di funzioni tra imprese.
Per Meta, l’obiettivo finale probabilmente resta sempre “Llama 5 che batte tutti” — usare modelli esterni ora per scalare, ma sostituirli gradualmente con pipeline interne più agili, economiche e completamente sotto controllo.