Non potevo esimermi di farne un’articolo. Ha scandito la mia crescita, Peter Gabriel, la voce che ha attraversato decenni fondendo sperimentazione sonora, impegno sociale e innovazione tecnologica, ha da qualche anno iniziato ad “abbracciare” l’intelligenza artificiale come co-strumento di espressione. Il suo progetto “Fraternity in the Age of AI” (Fratellanza nell’era dell’AI con Paolo Benanti (Scientific Coordinator) e frmato anche da Giorgio Parisi), la collaborazione con Stability AI e il concorso #DiffuseTogether non sono operazioni di marketing, ma dichiarazioni filosofiche: l’AI è inevitabile, meglio nuotarci assieme che combatterla. In questo articolo esploro tutte le pieghe note (e qualche suggestione) del suo impegno, dal diritto d’autore al pensiero esistenziale, passando per una visione audace di convivenza creativa uomo-macchina.

Chi segue Gabriel sa che la sua fama non deriva solo dal talento musicale, ma da una curiosità costante verso il rapporto tra arte e tecnologia. Fin dai tempi di Genesis e poi nella carriera solista ha sperimentato sintetizzatori, campionatori, processing avanzato, registrazione digitale. In questo senso il suo passaggio verso l’AI non è un salto nel buio ma una progressione logica: ha sempre guardato al mezzo come parte del messaggio. Nel podcast “Tech Unheard” con Arm, Gabriel afferma di avere da sempre considerato le tecnologie digitali non un filtro sterile ma un terreno da coltivare per vantaggi creativi.

L’idea di “Fraternity in the Age of AI” non è un progetto formalmente documentato come tale in comunicati pubblici dettagliati (almeno fino ad oggi), ma è piuttosto un concetto che abbraccia la filosofia che Gabriel sta diffondendo: fraternità (collaborazione, comunità) in un’era dove l’intelligenza artificiale plasma possibilità e conflitti. Il suo manifesto pragmatico per questa era ha un punto focale: l’artista non deve temere l’AI, ma inserirla dentro un orizzonte etico e partecipativo.

DiffuseTogether: il concorso che sperimenta l’IA visiva

Nel 2023 Peter Gabriel e Stability AI hanno lanciato il concorso DiffuseTogether, un’iniziativa che invita artisti specialmente creatori di animazioni digitali a produrre video generati con l’aiuto di modelli AI (Stable Diffusion, moduli di animazione) ispirati alla musica di Gabriel.

Nel dettaglio, l’annuncio del concorso è apparso sul sito ufficiale di Gabriel il 18 aprile 2023. La durata iniziale era fino al 26 maggio 2023, con termini chiariti per chi poteva partecipare, criteri di giudizio (originalità, visione narrativa, padronanza tecnica) e la cooperazione incoraggiata fra partecipanti. I pezzi dovevano essere animazioni sincronizzate con uno dei sei brani selezionati da Gabriel (tra cui Sledgehammer, Panopticom, The Court, Don’t Give Up, i/o, Playing For Time) utilizzando tecnologie come Stable Diffusion, strumenti per animazione 3D come Stability per Blender, AnimAI e simili.

Le opere vincenti sono state annunciate il 12 giugno 2023, con un doppio primo premio assegnato a Junie Lau e Lamson per i video su “The Court” e “Panopticon.” I vincitori ricevettero premi in denaro, crediti API, potenza computazionale (GPU donate) e anche commissioni da Real World Productions, oltre a biglietti per il tour di Gabriel.

Le animazioni presentate spesso mostrano immagini surreali, metamorfosi temporali (giovani vs versioni più anziane), paesaggi fluidi che reagiscono al suono. Gabriel stesso ha dichiarato che “questa tecnologia è un livellatore che ci darà strumenti per esprimerci in mille modi diversi.”

Ma non tutto è filato liscio. Dopo la pubblicazione del concorso, Gabriel ha ammesso di essere “disturbed by the negative reactions” (perturbato dalle reazioni negative) e ha rilasciato una dichiarazione ufficiale per spiegare la sua posizione. In quell’intervento ha ribadito che difendere il diritto d’autore è fondamentale, che Gabriel non ha ricevuto compensi da Stability AI, e che il progetto nasce da una conversazione con il fondatore Emad Mostaque, non come mossa commerciale.

Ha sottolineato che, se qualcuno ritiene che il proprio copyright sia stato violato, il video sarà tolto fino a risoluzione della disputa. Ha chiesto che vengano sviluppati algoritmi “intelligenti” che riconoscano le violazioni di copyright nei prompt o nelle immagini generate, e che incorporino dati di licenza nei metadati connessi all’opera generata.

Insomma, Gabriel non ignora le tensioni legali: vuole che l’IA abbia “an ethics, compassion and wisdom […] built directly into algorithms to protect and defend what is important to us.

Un’altra tensione visibile: Stability AI è stata al centro di controversie riguardo all’utilizzo di dataset che includono opere protette da copyright per l’addestramento dei modelli. Alcuni critici sostengono che iniziative come DiffuseTogether rischino di legittimare regimi di “appropriazione” mascherati da doping creativo. Gabriel ha risposto che l’AI, come la ruota o la rivoluzione industriale, è inevitabile: meglio nuotarci che restare fermi.

Visione metaforica, critica etica, volontà di sperimentazione: la costruzione è ambiziosa e contraddittoria allo stesso tempo.

Diritti umani, etica e un’AI “programmata con compassione”

Una componente cruciale dell’impegno di Gabriel è etica + diritti. Non basta far generare opere; occorre che l’AI rispetti diritti umani, libertà individuali, giustizia sociale. Nel suo comunicato di supporto al concorso, Gabriel scrive che “quando un’opera di un artista viene copiata per profitto, ci dovrebbe essere il diritto di rifiutare o partecipare finanziariamente.”

Ha inoltre dichiarato di aver aderito a una lettera firmata da Max Tegmark, Steve Wozniak e Elon Musk che chiedeva una pausa di sei mesi nel rilascio di nuove AI, per riflettere su normative, guinzagli etici e meccanismi di sicurezza.

Pur criticando la visione “AI = macchina che ruba lavoro”, Gabriel non è ingenuo: in un’intervista ha avvertito che l’AI “sta per ribaltare il nostro mondo” e che potrebbe “fare meglio di noi tutti i nostri lavori, incluso il mio.” Questo non è pessimismo sciocco, ma lancio d’allarme: serve un “thinking urgent” su come convivere con l’AI senza cedere alla distruzione del valore umano.

Nei suoi ragionamenti emerge una tensione filosofica: le macchine devono essere prioritarie su utilità e calcolo, ma devono essere “costruite con saggezza, compassione, etica” per salvaguardare ciò che conta: diritti umani, dignità, equità. Questo non è un dettaglio decorativo, ma motore del suo discorso pubblico.

Ottimismo realistico: nuotare con la corrente

Gabriel insiste su una frase che ripete spesso: “When the future has shown itself so clearly and is flowing as fast as a river after a storm, it seems wiser to swim with the current.” (Quando il futuro si presenta così chiaramente e scorre come un fiume dopo la tempesta, sembra più saggio nuotare con la corrente). L’AI non è un fenomeno da rifiutare o demonizzare, ma da studiare, modulare, piegare creativamente.

In un’intervista ripresa da Yahoo, ha detto:

“We might as well just grab the algorithms and dance with them rather than fight them.”

(Potremmo anche afferrare gli algoritmi e ballarci piuttosto che combatterli). Non è citazione retorica: Gabriel vuole che gli artisti facciano dell’AI un partner non un nemico da abbattere.

Non è certo una posizione “indifferente”. È agitata: promuove la convivenza ma chiama a responsabilità. In Tech Unheard, Gabriel riflette su come l’IA sia “in arrivo” e che non ha senso farla finta che non esista.

La frenesia del presente non lo spaventa: lui che ha sempre sperimentato – dal video di Sledgehammer con stop-motion e claymation fino alle produzioni più digitali considera l’IA come una nuova frontiera da abitare.

Longevità, mortalità e questioni esistenziali

Un elemento che aggiunge profondità al discorso di Gabriel è il suo interesse per la ricerca sulla longevità. In un’intervista a The Sun (citata da American Songwriter), ha ammesso:

“I am very interested in longevity research … what used to be a billionaires’ plaything … sees as a critical driver for all manner of medical breakthroughs for all of us.”

Ha parlato della mortalità come di qualcosa che “scivola nel retrovisore”, ma che va portata davanti allo schermo: non come pietra tombale, ma come stimolo. È come se la fusione tra tecnologia, corpo, tempo fosse il vero orizzonte: l’AI applicata all’arte e la biotecnologia applicata al corpo sono segmenti diversi dello stesso fil rouge: estendere la creatività e la vita umana.

Il fatto che Gabriel, artista maturo, affronti di petto queste questioni (e non come speculazione futurista) eleva il suo discorso oltre la retorica tecnologica: diventa quella di un uomo che sente il peso dell’umanità e vuole immaginare una convivenza col futuro che non sia dominata dal terrore.

Critiche, rischi ignorati, zone grigie

Non sarebbe un progetto serio se non avesse attratto polemiche e controversie. Già dalla fase del concorso, sono piovute critiche molti hanno accusato il progetto di legittimare “appropriazioni non etiche” dell’arte, sostenendo che usare AI per generare video su musica già esistente è un passo pericoloso verso la disintegrazione del valore culturale originale. Gabriel ha dovuto reagire con trasparenza (vedi la sua dichiarazione ufficiale).

Un’altra critica riguarda il potere che gli ecosistemi IA consolidati (come Stability AI) hanno nel definire i formati, le forme del visivo, le norme tecniche. Se i creatori più piccoli non hanno accesso alle stesse risorse, il “livellatore” può trasformarsi in una gerarchia nascosta. Gabriel pur non potendo risolvere questo da solo – spinge per una open ethos (riconosce il valore dell’open source in Stability AI) e per meccanismi di protezione del copyright nei prompt e nei metadati.

Vi è un’area forse sottoesplorata: la sostenibilità ambientale dell’AI la domanda energetica del training dei modelli, l’impronta carbonica del calcolo massivo. Gabriel non ne parla o almeno non nei comunicati pubblici più visibili. Ma in un pensiero che contempla “saggezza” e “compassione” credo si affaccia anche questa domanda: possiamo generare arte con macchine se il piano terra del pianeta paga un prezzo troppo alto?

Il progetto 50:50: equità tra musica e video

Uno sviluppo successivo degno di nota è la piattaforma 50:50, lanciata da Gabriel il 23 gennaio 2025. 50:50 vuole essere un ecosistema di creazione video collaborativo dove il valore (attenzione, proventi) è diviso in modo equo tra il creatore del video (sia esso IA, umano, mix) e il creatore musicale (in questo caso Gabriel).

La genesi di 50:50 è direttamente connessa al concorso #DiffuseTogether: dato che molte animazioni emergenti generavano visual per i brani di Gabriel, nasceva la questione di chi “guadagna” e quanto. Gabriel ha giudicato ingiusto che piattaforme come YouTube trattengano la maggior parte dei guadagni, lasciando poco ai videomaker che montano immagini su musica già esistente.

Con 50:50 si vuole sperimentare un nuovo modello: video-maker di ogni disciplina possono iscriversi, proporre i loro contributi visivi (anche generati con IA), e ottenere una ridistribuzione più equa con il “contesto musicale”. 50:50 accoglierà non solo video AI, ma tecniche miste — una piattaforma ibrida.

Finora, dal lancio, 50:50 ha prodotto decine di video su canzoni di i/o e altri brani. A inizio agosto 2025 erano documentati 32 video realizzati da circa 20 creatori o gruppi diversi.

L’obiettivo dichiarato: dare dignità ai visual artist e ridefinire la divisione del valore nella catena creativa (musica + video) in un’epoca ibrida.

Un parallelo forte: Gabriel non vuole essere (solo) “l’artista che alza l’asta” della sperimentazione, ma colui che cerca il modello etico per mantenerla sostenibile.

Risonanze filosofiche e implicazioni a lungo termine

Guardando questo impegno nel suo complesso, emergono alcune idee-guida che parlano a chi come te lavora con innovazione, tecnologia, strategia.

Primo: l’IA non è solo automazione o sostituzione, è estensione della creatività umana. Gabriel non dice “l’artista è morto”, ma che l’artista deve diventare coreografo di elementi nuovi, orchestrando prompt, ambiente, calcolo, visione.

Secondo: un’IA senza etica è pericolosa. Non basta produrre, bisogna programmare morale — e Gabriel non tratta questo come opzionale. Le sue richieste di metadati, algoritmi che riconoscano automaticamente copyright o prompt “illeciti” sono tentativi di codificare la coscienza nel codice.

Terzo: questo è un esperimento sociale oltre che artistico. Gabriel vuol vedere se si può costruire una fraternità della creazione, dove musicisti, visual artist, modelli matematici e pubblico interagiscano con rispetto del valore di ciascuno. Non una scena tumultuosa, ma un ecosistema cooperativo.

Quarto: le crisi che affiorano (diritti, disuguaglianze, potere delle piattaforme, consumi energetici) non sono secondarie: definiscono se l’IA contribuirà a un mondo più ricco o più insostenibile. Gabriel, dicendo “compassione e saggezza” vuole imporre che queste crisi siano parte del progetto, non trascurate.

Quinto: l’orizzonte è esistenziale. Il suo interesse per la longevità, la mortalità, la connessione tra biotecnologia e tecnologia dell’informazione creano una visione integrata: arte, umanesimo e tecnologia non sono scatti separati ma momenti di una stessa spinta umana verso il superamento dei limiti.

Il fatto che queste dichiarazioni emergano in 2023–2025, in epoca di accelerazione IA, non è casuale: Gabriel coglie il momento di biforcazione storico e vuole posizionarsi in esso.

Cosa resta da raccontare, incrociare, sperimentare

Non abbiamo ancora trovato (o re­perito) un testo ufficiale che disciplini in modo esplicito un “manifesto Fraternity in the Age of AI” a firma Gabriel, con capitoli e sezioni. L’idea resta piuttosto un filo conduttore che attraversa comunicazioni, interviste, progetti.

C’è da chiedersi: quanti altri artisti con visione paragonabile hanno la volontà di entrare in simili zone d’ombra? Gabriel è raro: combina fama, credibilità e capacità tecnica e morale. Chi altro può provare a tradurre questo tipo di “atto di fiducia nel futuro” per un’intera comunità creativa?

Citando Elisabetta Alicino creative director : AI come specchio e non solo come tecnologia. Uno specchio che amplifica ossessioni, desideri, paure. Guardarla come tool ne riduce la portata: è un laboratorio concettuale che mette in discussione cosa intendiamo per coscienza e creatività.