Winning the AI Race? The US AI Action Plan in Context
Quando la Casa Bianca ha sfornato il suo documento di punta per la governance dell’Intelligenza Artificiale nel luglio 2025, nessuno ha potuto ignorare il titolo aggressivo: “Winning the AI Race: America’s AI Action Plan”. Dietro questa denominazione quasi sportiva si cela una strategia politica e tecnologica di portata globale, che unisce pragmatismo industriale e ideologia politica in un mix tanto affascinante quanto controverso.
L’Ordine Esecutivo EO 14179, emesso nel gennaio dello stesso anno, ha dato il via libera a questa visione, intitolata a rimuovere le barriere che impediscono la leadership americana nell’IA. L’amministrazione Trump ha strutturato la sua visione attorno a tre pilastri principali: accelerare l’innovazione, costruire infrastrutture nazionali per l’IA e guidare la diplomazia e la sicurezza internazionale.
Questi pilastri non sono puri intenti retorici ma sono supportati da tre distinti Ordini Esecutivi mirati a facilitare la costruzione di data center, prevenire la politicizzazione “woke” dell’IA nel governo e promuovere l’esportazione dello stack tecnologico americano.
L’analisi del Piano d’Azione mostra una continuità sorprendente con le strategie delle amministrazioni precedenti, che avevano già posto l’accento sulla competitività contro la Cina e sulla promozione dell’innovazione domestica. Tuttavia, la novità sta nell’integrazione esplicita della “guerra culturale” all’interno della governance tecnologica, introducendo mandati affinché i sistemi IA siano “ideologicamente neutrali” e rimuovendo considerazioni di Diversità, Equità e Inclusione dai quadri federali.
La retorica aggressiva della Casa Bianca si accompagna a una consapevolezza pratica: il completo disaccoppiamento dell’ecosistema IA dagli attori cinesi è virtualmente impossibile. Semiconduttori, terre rare e supply chain globali vincolano i blocchi tecnologici, suggerendo che una cooperazione, seppur limitata, rimarrà inevitabile.
Guardando alle amministrazioni precedenti, si nota come l’approccio alla leadership IA sia cambiato gradualmente. L’amministrazione Obama, tardiva ma non ingenua, sottolineava la necessità di mantenere la competitività economica americana, pur evitando di concentrarsi esplicitamente sulla Cina.
La prima amministrazione Trump iniziò con una gestione “hands-off” e progressivamente enfatizzò i valori americani per giustificare un approccio competitivo nei confronti della Cina. Biden ha mantenuto questa linea competitiva, aggiungendo però un focus su diritti fondamentali e comunità tecnologiche. Il Piano 2025, pur meno retorico nel confronto con la Cina, la menziona esplicitamente più volte, chiarendo che l’avversario principale della corsa all’IA rimane Pechino.
Il pilastro sull’innovazione riprende programmi consolidati: revisione del Quadro di Gestione del Rischio AI (RMF) del NIST, supporto al National AI Research Resource e aggiornamento del Piano Strategico Nazionale di R&D sull’IA. Tuttavia, la vera novità consiste nell’integrazione della politica culturale. Il RMF viene “riveduto” per eliminare riferimenti a disinformazione, DEI e cambiamento climatico. L’EO 14319 proibisce alle agenzie federali di acquistare IA “woke”, definendo la DEI come un pregiudizio ideologico da evitare.
I Large Language Models devono essere “truth-seeking” e neutrali ideologicamente, ma la definizione di neutralità è ambigua. Già in passato, chatbot progettati per essere “cercatori di verità” hanno promosso contenuti estremisti, sollevando dubbi su chi stabilisca i parametri di neutralità e quali conseguenze legali possano derivarne. Critiche vengono mosse a Google per il modello Gemini, accusato di introdurre “diversità storicamente inaccurata” nelle immagini, mostrando come il governo possa cercare di imporre la propria visione ideologica anche alle aziende private.
Sotto il profilo internazionale, il Piano introduce la novità di un’alleanza AI americana per contrastare la percezione di una coalizione cinese tra i paesi della Maggioranza Globale. La Cina, con la sua Iniziativa di Governance Globale dell’IA, promuove multilateralismo e inclusività attraverso la Digital Silk Road. Gli Stati Uniti rispondono cercando di esportare l’intero stack tecnologico agli alleati disposti a unirsi all’alleanza AI americana.
Questo include revoca di regolamenti di esportazione precedenti, aprendo la strada a collaborazioni con Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, puntando a consolidare una leadership tecnologica globale, ma anche ideologica.
La costruzione delle infrastrutture americane, cuore del secondo pilastro, si concentra su permessi per data center, rete elettrica e sovranità digitale. Tuttavia, il disaccoppiamento rimane teorico: Nvidia domina le GPU ma produce principalmente tramite TSMC a Taiwan. La capacità industriale americana in Arizona e Texas, prevista tra metà e fine 2026, serve più come assicurazione geopolitica che reale indipendenza.
L’esclusione delle terre rare dal Piano indica una sottovalutazione o una separazione strategica rispetto alla catena di approvvigionamento globale. L’interdipendenza strutturale obbliga a una cooperazione inevitabile tra blocchi apparentemente antagonisti.
Il Piano e i suoi EO delineano una visione ambiziosa: l’innovazione americana deve guidare il mondo e formare coalizioni contro la Cina, mentre la cultura politica interna influenza direttamente l’implementazione dei sistemi IA. I limiti pratici sono evidenti. Le catene di approvvigionamento, la produzione concentrata di risorse critiche e le dinamiche geopolitiche rendono impossibile un vero disaccoppiamento, costringendo alla cooperazione tecnica e commerciale.
Questioni legali interne, in particolare sul Primo Emendamento, e reazioni internazionali ai regimi di esportazione potrebbero ostacolare o modificare l’attuazione del Piano. Il futuro della leadership americana nell’IA dipenderà dalla capacità di bilanciare innovazione, ideologia e realpolitik industriale, navigando tra aspirazioni di dominio tecnologico e realtà globali che sfidano ogni rigidità strategica.
Questa analisi mette in evidenza un aspetto spesso trascurato: la corsa all’IA non è solo tecnologica o economica. È culturale, ideologica e geopolitica. L’innovazione senza contesto politico rischia di restare un esercizio accademico. Al contrario, la leadership americana cerca di fondere incentivi industriali con un progetto culturale e strategico, rischiando però di trasformare l’IA in un campo di battaglia politico prima ancora che scientifico. I prossimi anni riveleranno se questa strategia porterà a un vantaggio reale o se l’inevitabile interdipendenza globale tempererà l’arroganza della corsa all’IA.
La realtà è chiara: la neutralità ideologica è un mito, il disaccoppiamento totale un’illusione, ma la narrazione di leadership globale può influenzare investimenti, alleanze e percezioni pubbliche. La corsa all’IA americana del 2025 è quindi tanto una gara tecnologica quanto una partita di scacchi geopolitici e culturali. Chi guarderà soltanto alle GPU e ai chip rischierà di perdere la visione d’insieme.
Il Piano d’Azione AI degli Stati Uniti dimostra che vincere la corsa all’IA non è solo questione di capacità computazionale o algoritmi avanzati. È un equilibrio complesso tra innovazione interna, diplomazia internazionale, guerra culturale e gestione strategica delle risorse critiche. La posta in gioco va oltre la tecnologia: è la definizione di chi detterà le regole, gli standard e i valori nel prossimo decennio dell’Intelligenza Artificiale. L’America ha messo sul tavolo una visione audace, ma la domanda rimane aperta: riuscirà a tradurla in realtà, o la rete di interdipendenze globali la costringerà a negoziare compromessi che smorzino il suo slancio ideale?
SSRN: https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=5494858