Un caffè al Bar dei Daini

Chiunque guardi i keynote scintillanti di Mark Zuckerberg potrebbe pensare che Meta sia una tech company all’avanguardia, con i piedi saldamente piantati nel futuro del metaverso, degli occhiali intelligenti e dell’intelligenza artificiale generativa. Ma i bilanci sono brutali e raccontano una storia diversa: Meta è un’azienda pubblicitaria e lo è sempre stata, da più di vent’anni.

Nel secondo trimestre del 2025, Meta ha dichiarato ricavi complessivi per 47,5 miliardi di dollari. Di questi, 46,6 miliardi arrivano direttamente dalla pubblicità. Novantotto per cento, tanto per non lasciare spazio a dubbi. Reality Labs continua a bruciare miliardi, oltre 16 solo nel 2023, senza alcuna prospettiva di ritorno economico. L’intelligenza artificiale generativa? Per ora non porta un solo dollaro diretto in cassa. Tutto il resto, dal metaverso alle Ray-Ban connesse, è puro spettacolo scenico, utile per i titoli dei giornali e per mantenere vivo il mito del visionario di Menlo Park.

Il dettaglio più inquietante è che oltre metà di quei ricavi pubblicitari arriva ancora da Facebook. E qui la demografia diventa un problema serio: negli Stati Uniti e in Europa, più della metà degli utenti attivi di Facebook ha superato i 50 anni. In altre parole, Meta dipende in maniera ossessiva da una base utenti che invecchia e che non è certo la più appetibile per inserzionisti ossessionati dalle nuove generazioni. I giovani, quando non sono già migrati altrove, scrollano Instagram o passano il tempo su TikTok.

Da vent’anni Zuckerberg ripete il mantra della trasformazione. Prima il metaverso, poi l’intelligenza artificiale generativa, ora i dispositivi wearable che dovrebbero fondere vita fisica e digitale. Ma i numeri sono impietosi. Le uniche cifre che contano sono quelle pubblicitarie, e lì si torna sempre al 2004, quando Facebook era la macchina perfetta per catturare attenzione e venderla al miglior offerente. Oggi, a distanza di due decenni, l’economia di Meta non è cambiata di un millimetro.

L’ironia sta nel contrasto con i concorrenti. Google, che pur rimane dominata dalla pubblicità, ha costruito un business cloud che vale oltre 10 miliardi di dollari a trimestre con profitti reali. Microsoft ha creato un impero diversificato tra enterprise, Azure e gaming. Apple continua a stampare denaro con hardware e servizi. Meta invece, dopo 20 anni, resta schiacciata su una sola leva: la pubblicità. Non è un difetto in sé, ma è una dipendenza che rende l’azienda fragile. Quando il 98 per cento del tuo ossigeno arriva da un unico polmone, non puoi davvero definirti resiliente.

Gli investitori non sono ingenui. Sanno che dietro la narrativa futurista si nasconde un’azienda che taglia costi, licenzia personale e cerca disperatamente di mantenere margini accettabili. La favola racconta di una corporation proiettata nel 2035. Il conto economico urla che siamo ancora fermi al 2004. La verità è che la distanza tra storytelling e numeri sta diventando imbarazzante, e quando lo scollamento si fa troppo evidente, è proprio allora che i concorrenti più rapidi possono introdursi e rubare quote di mercato.

Si potrebbe obiettare che la pubblicità non è certo un settore debole, anzi, genera miliardi con una regolarità che farebbe invidia a chiunque. Ma la pubblicità è anche un gioco che dipende da due fattori instabili: la freschezza dell’audience e la capacità di innovare i formati. Meta rischia di fallire su entrambi i fronti. Se gli utenti giovani si spostano su piattaforme diverse e gli inserzionisti cercano mercati alternativi, la macchina perfetta inizia a scricchiolare. E a quel punto non basteranno nuove versioni di Oculus o chatbot più simpatici per fermare l’erosione.

La realtà è che Meta non è un colosso della realtà virtuale, né un campione dell’intelligenza artificiale. È una gigantesca concessionaria pubblicitaria con travestimenti tecnologici. Tutto il resto è coreografia. La domanda vera, quella che Zuckerberg evita con cura, è quanto a lungo si possa sopravvivere quando l’intero impero si regge su un modello che invecchia insieme alla sua base utenti.