Jim Farley, CEO di Ford, ha appena buttato sul tavolo un dato che suona come uno schiaffo al sogno elettrico made in USA. Non si tratta di un’analisi da manuale di economia, ma di un sospetto dichiarato con la leggerezza di chi sa già che la matematica non mente: senza i 7.500 dollari di credito federale, la quota di mercato dei veicoli elettrici negli Stati Uniti potrebbe precipitare dal 12 al 5 per cento in un mese. Un collasso annunciato che smaschera il paradosso della transizione ecologica a stelle e strisce, più sostenuta dalle stampelle fiscali di Washington che da una domanda reale. Farley non ha nemmeno avuto bisogno di drammatizzare. Ha semplicemente svelato quello che molti fingevano di ignorare, ovvero che l’EV non è ancora un prodotto desiderato di per sé, ma un bene drogato dagli incentivi. In altre parole, il re è nudo, e la sua Tesla Model Y non è nient’altro che un bambino sovvenzionato che senza aiuti rischia di non sopravvivere.
Chi guarda questo scenario da lontano potrebbe domandarsi se davvero l’industria automobilistica globale sia disposta a immolare miliardi sull’altare della sostenibilità retorica mentre il consumatore medio americano torna a guardare i pick-up a benzina con lo stesso affetto di sempre. La questione non è solo economica, ma culturale: il mito del green tech, senza il collante degli incentivi, perde quella patina glamour che Wall Street aveva usato come manifesto del futuro. Il rischio per i colossi dell’auto è che l’elettrico diventi l’ennesimo progetto industriale americano che vive e muore al ritmo delle elezioni presidenziali e dei decreti fiscali.
Mentre Ford balbetta di fronte alla fragilità del proprio piano EV, dall’altro lato della Silicon Valley il futuro sembra scritto con caratteri più solidi, nonostante la volatilità. Cerebras, la società che osa sfidare Nvidia, ha appena raccolto 1,1 miliardi di dollari, raggiungendo una valutazione di 8,1 miliardi. Una cifra che non sorprende più di tanto se si guarda al contesto: il mercato dei semiconduttori per AI è l’unico segmento in cui le promesse non sono percepite come fumo negli occhi, ma come opportunità immediate. La performance dichiarata dai chip Cerebras, fino a 20 volte superiore alle GPU di Nvidia, non è solo un dettaglio tecnico. È un manifesto politico-industriale che profuma di reshoring e orgoglio nazionale, perché i fondi serviranno a espandere capacità produttive e data center dentro i confini americani. In un’epoca in cui la geopolitica dei chip è la nuova Guerra Fredda, ogni miliardo investito in silicio è un atto di sovranità.
L’ingresso di investitori come Fidelity, Tiger Global e persino 1789 Capital, con Donald Trump Jr. tra i partner, aggiunge un sapore ironico e vagamente distopico alla vicenda. Il capitalismo americano riesce sempre a comporre quadri surreali: mentre i democratici parlano di transizione energetica, i repubblicani spingono sull’oro digitale dell’AI, e intanto entrambi convengono su un punto inconfutabile, ossia che la corsa all’infrastruttura di intelligenza artificiale sarà il vero piano Marshall dei prossimi anni.
Citigroup ha ricalcolato i numeri e il risultato è sconcertante: 2,8 trilioni di dollari di spesa in infrastrutture AI entro il 2029, in crescita rispetto alla stima precedente di 2,3 trilioni. È una revisione che non dipende da sogni utopici, ma dalla realtà spietata degli hyperscalers. Microsoft, Amazon e Meta non stanno costruendo data center per il gusto di accumulare capex in bilancio, ma perché il consumo energetico e computazionale dell’AI sta già divorando interi cluster. Solo entro il 2026, 490 miliardi saranno spesi per allargare la capacità, una cifra che racconta meglio di qualsiasi slogan quanto l’intelligenza artificiale sia ormai diventata il nuovo petrolio.
Il paradosso si chiude da solo. Da un lato, un settore auto che scopre la sua dipendenza patologica da politiche fiscali effimere. Dall’altro, un ecosistema tecnologico che macina capitali a una velocità da febbre dell’oro. L’auto elettrica americana potrebbe diventare un esperimento di laboratorio utile solo ai manuali di politica industriale, mentre i chip AI saranno il nuovo barile di Brent su cui si misureranno potere, influenza e crescita dei prossimi decenni.
Chi sorseggia un espresso al bar dei daini capisce che la narrativa ufficiale è sempre più fragile. Le auto verdi non sono più verdi senza sussidi e la sostenibilità si scioglie come neve al sole quando il conto arriva sul tavolo del consumatore. Intanto le macchine dell’intelligenza artificiale bruciano energia, capitali e fantasia con la stessa voracità di un’industria senza freni. È qui che si decide il futuro del capitalismo americano, e non sulle piste ciclabili di Detroit.