C’è qualcosa di strano nel vedere il titolo Nvidia perdere slancio proprio nel momento in cui l’azienda sigla accordi che la rendono sempre più centrale nell’ecosistema dell’intelligenza artificiale. È come se il mercato, ubriaco di euforia tecnologica, si fosse fermato un istante a guardare l’etichetta del vino che stava bevendo. Dopo sei sedute consecutive di rialzi, Nvidia ha chiuso in ribasso. Eppure Cantor Fitzgerald continua a considerarla la stella polare del settore semiconduttori, con un target di 240 dollari e la convinzione che la società di Jensen Huang possa un giorno toccare una valutazione da 10 trilioni di dollari. Un numero che, fino a un anno fa, avrebbe fatto sorridere perfino i più ottimisti.

Il punto non è tanto nella volatilità del titolo, quanto nel nuovo paradigma che sta emergendo. L’accordo tra Nvidia e OpenAI, supportata da Microsoft, non è un semplice contratto di fornitura: è la saldatura definitiva tra chi costruisce i motori dell’AI e chi li guida. Cantor lo definisce “vendor circularity”, una sorta di autofinanziamento dell’ecosistema. OpenAI spinge la domanda di calcolo, Nvidia fornisce la potenza computazionale, Microsoft ospita il tutto nel cloud e gli investitori scommettono su un ciclo perpetuo di crescita. In altre parole, l’intelligenza artificiale si paga da sola, almeno fino a quando qualcuno continua a crederci.

Molti analisti hanno evocato il fantasma della bolla, ma la realtà è più sfumata. Il parallelismo con le dot-com degli anni Novanta è pigro e superficiale. Allora si compravano domini web come se fossero miniere d’oro. Oggi si acquistano GPU come se fossero energia elettrica, e la differenza è abissale. L’AI non è un sito Internet: è un’infrastruttura cognitiva che ridisegna l’economia dei dati. Il concetto di test-time scaling citato da Cantor descrive bene la fase in cui siamo entrati. Non si tratta solo di addestrare modelli, ma di moltiplicare la potenza di calcolo nel momento stesso in cui il sistema esegue i suoi compiti. È l’equivalente digitale dell’effetto serra: più calcolo produce più modelli, e più modelli generano domanda di calcolo. Un ciclo virtuoso o vizioso, a seconda di chi paga la bolletta.

Il nodo cruciale resta l’infrastruttura. I grandi cloud provider stanno scoprendo che costruire datacenter per l’AI è più complesso che ampliare un campus universitario. Servono terreni, energia, acqua e soprattutto accordi politici. Muse, capo analista di Cantor, lo ha detto chiaramente: la sfida non è solo finanziaria ma diplomatica. Servono partnership pubblico-private capaci di muovere montagne di capitale e megawatt. È qui che entra in scena la geopolitica dell’AI, e Nvidia si trova suo malgrado al centro di una partita che mescola tecnologia e potere.

Il caso Emirati Arabi Uniti ne è la prova più interessante. Durante la presidenza Trump, Abu Dhabi aveva promesso un miliardo di dollari di investimenti negli Stati Uniti in cambio della possibilità di acquistare chip Nvidia per un valore equivalente. Un patto che avrebbe dovuto sigillare un’alleanza strategica tra Washington e il Golfo nel campo dell’intelligenza artificiale. Oggi però l’accordo sembra impantanato tra ritardi burocratici, sospetti di eccessiva vicinanza degli Emirati con la Cina e l’eterna tensione tra sicurezza nazionale e libero mercato. La Casa Bianca si affida a David Sacks, soprannominato l’AI Czar, per rimuovere gli ostacoli normativi e accelerare gli investimenti, ma le trattative con il Segretario Lutnick si trascinano da mesi.

La realtà è che gli Stati Uniti non possono permettersi di lasciare a Pechino il monopolio dell’espansione infrastrutturale dell’AI nei paesi terzi. Gli Emirati, con la loro G42 e il progetto Stargate UAE lanciato insieme a OpenAI, rappresentano un ponte strategico tra l’Occidente e il Sud Globale. È un laboratorio politico e tecnologico dove l’intelligenza artificiale si trasforma in soft power. Se Washington non riuscirà a chiudere l’accordo, qualcun altro lo farà. E Nvidia, come ogni fornitore globale di hardware avanzato, dovrà navigare in acque sempre più torbide.

La stranezza è che mentre i governi discutono di licenze e autorizzazioni, le aziende tech corrono a una velocità che rende obsoleta ogni trattativa. Nvidia non aspetta nessuno. La sua capacità di abilitare anche i cosiddetti Tier 2 Cloud Service Providers, cioè operatori emergenti fuori dal circuito dei grandi hyperscaler, sta creando una seconda ondata di competizione. È il classico effetto Jevons: più si ottimizza una risorsa, più aumenta il suo consumo. Riducendo i costi di accesso al calcolo, Nvidia non frena la domanda, la moltiplica. Ogni startup, ogni governo, ogni università vuole il proprio cluster di GPU. È la democratizzazione della potenza computazionale, ma anche l’anticamera della saturazione.

Cantor invita a “restare lunghi e forti” sull’AI-levered group, un consiglio che suona come una benedizione finanziaria e una profezia autoavverante. Ma la domanda vera è un’altra: chi sta davvero guidando questo ciclo? Nvidia vende pale e picconi nella nuova corsa all’oro digitale, ma la miniera appartiene a chi controlla i dati. OpenAI, Microsoft e Google sono i nuovi signori feudali della conoscenza. Nvidia fornisce loro l’acciaio, ma non decide le guerre. Tuttavia, a differenza dei fornitori tradizionali, è riuscita a diventare imprescindibile. Nessuno può più costruire un modello AI competitivo senza passare dalle sue GPU. È un monopolio de facto mascherato da libero mercato.

Nel frattempo, il mercato finanziario gioca con le aspettative come un gatto con il topo. Ogni voce, ogni ritardo, ogni indiscrezione muove miliardi. Ma se si guarda oltre il rumore quotidiano, il quadro è chiaro. L’intelligenza artificiale non è una moda passeggera, è una nuova infrastruttura industriale. E Nvidia ne è la colonna vertebrale. Può perdere qualche punto in Borsa, ma ha già vinto la guerra del calcolo. La vera domanda è se saprà sopravvivere al suo stesso successo, in un mondo dove la velocità dell’innovazione sta superando la capacità dei governi di capire cosa stanno approvando.

Come disse una volta un vecchio economista, “la tecnologia non è mai neutrale, ma spesso è più veloce della politica”. Nvidia lo sa. E continua a correre.

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