I robot umanoidi non conquisteranno il mondo domani. Né dopodomani. Ma potrebbero iniziare a lavorare nella hall del tuo hotel, offrendoti cocktail con movenze legnose e un sorriso LED stampato in faccia. Keenon Robotics, l’azienda cinese che sta puntando forte su questa visione a bassa velocità ma alta ambizione, ha deciso che il futuro sarà antropomorfo, ma con giudizio. Per adesso meglio limitarsi a compiti semplici, ripetitivi, quelli che l’umanità ha storicamente riservato agli stagisti malpagati e oggi scarica su automi con facce da giocattolo.
Fondata nel 2010 a Shanghai, Keenon non è un’outsider in cerca di click, ma il principale produttore mondiale di robot commerciali per servizi, con una quota di mercato globale del 23%. Tradotto in numeri: oltre 100.000 robot venduti nel mondo e una crescita attesa del 50% quest’anno. Sì, la Cina esporta anche robot che ti portano il pranzo in camera d’albergo. E non sbagliano mai stanza. O quasi.
L’approccio di Keenon è tanto semplice quanto in controtendenza rispetto all’hype: i robot umanoidi non devono salvare il mondo, ma magari possono iniziare portandoti i popcorn o lavando un corridoio. Nella recente World Artificial Intelligence Conference di Shanghai, i nuovi modelli bipedi XMAN-F1 servivano popcorn agli ospiti e cocktail nel booth aziendale. Visione? Più barista che Blade Runner.
Li Tong, fondatore e CEO di Keenon, è chiaro. Niente illusioni da fantascienza di seconda mano. Il robot tuttofare, la macchina da guerra versatile che fa tutto e lo fa meglio di noi, non arriverà presto. O forse mai. Per ora ci si accontenta di semplici task ripetitivi, a metà tra il gadget e la prova concettuale. L’ispirazione? Il robot Optimus di Tesla che serve popcorn a Los Angeles. Ironia della sorte: è la Silicon Valley a fare spettacolo, ma la Cina a produrre scala.
La chiave è la gradualità. Un deployment realistico che parte da compiti singoli, evolve verso attività combinate, e – forse – un giorno diventa utile anche nel senso più nobile del termine. Keenon, infatti, non si limita a show da fiera, ma lavora dietro le quinte con clienti in test di proof-of-concept, mirando a integrare i suoi umanoidi nei settori dell’hospitality e della logistica. Dove c’è bisogno di mani (robotiche), Keenon c’è.
Il vero problema, come sempre quando si parla di embodied intelligence, non è costruire la macchina, ma addestrarla. Manca ancora quella base dati fisica necessaria per addestrare i robot nel mondo reale, lontano dai modelli linguistici che popolano la nuvola AI. Ma qui entra in gioco il vero asset di Keenon: anni di dati ambientali accumulati, esperienza nella robotica elettromeccanica e un’ottimizzazione produttiva che farebbe invidia a una linea Toyota.
Nel quartier generale di Shanghai, un piccolo showroom mostra il bestiario robotico di Keenon: automi con vassoi per la ristorazione, navette a guida autonoma che trasportano rifiuti ospedalieri, e robot che si aggirano su rampe e percorsi stretti come se fossero in un videogioco giapponese degli anni ’90. Più che robotica umanizzata, si tratta di umanità robotizzata, compressa in funzioni minime ma scalabili.
L’onda dell’intelligenza artificiale, ovviamente, ha cambiato tutto. Prima i robot erano stupidi, ora – grazie ai grandi modelli linguistici – hanno qualcosa che assomiglia a un cervello. O almeno a un assistente virtuale che risponde a comando. Keenon ha lanciato il suo primo umanoide su ruote nel marzo di quest’anno, dopo aver ufficialmente sposato il formato antropomorfo nel 2024. Per ora si muove, risponde, e non protesta quando lo mandano a lucidare i pavimenti.
Il contesto aiuta. La Cina è diventata una gigantesca palestra robotica a cielo aperto. Negli hotel i robot servono pasti nelle stanze, negli ospedali disinfettano senza mai lamentarsi, e alle fiere fanno calligrafia cinese meglio di uno studente del primo anno. Le performance dei robot danzanti di Unitree Robotics hanno fatto il giro del mondo, tra una maratona e un’esibizione di capodanno. Il pubblico ride, il mercato investe.
Non a caso, secondo UBS, il numero di robot umanoidi nel mondo potrebbe superare i 300 milioni entro il 2050. Con una domanda annuale di 86 milioni di unità e un valore di mercato che oscilla tra 1,4 e 1,7 trilioni di dollari. Sembrano numeri da science fiction? Forse. Ma sono proiezioni che i fondi d’investimento prendono maledettamente sul serio. Anche perché il business dell’automazione ha un unico limite: la pazienza del consumatore.
Keenon però non gioca al rialzo con sogni futuristici. Non promette il domestico perfetto o il compagno di conversazioni profonde. Il suo obiettivo resta pragmatico: vendere prodotti che risolvano problemi concreti. Anche il pricing segue questa logica. Le sue soluzioni robotiche costano meno della metà di un salario umano, soprattutto nei mercati sviluppati o in quelli in rapido invecchiamento. Si parla infatti di contratti di leasing, chiamati internamente “contratti di lavoro”, che posizionano i robot come lavoratori sostitutivi a basso costo. A Wall Street la chiamerebbero disruption. A Pechino è solo economia di scala.
E a chi obietta che un robot non potrà mai sostituire l’intelligenza umana, Keenon risponde con ironia implicita: non deve. Basta che porti il pranzo in tempo. Come dire, non serve che la macchina sia cosciente, basta che non cada dalle scale. Almeno per ora.
Il settore della robotica umanoide, conosciuto anche come embodied AI, sta vivendo un’ondata di entusiasmo, trainata tanto dalla spettacolarità quanto da un’effettiva accelerazione tecnologica. Ma l’hype ha bisogno di piedi saldi. E Keenon sembra averli. Con sette round di finanziamento alle spalle, partecipazioni di fondi di livello come SoftBank Vision Fund e Alibaba (attraverso Ele.me), e il supporto della municipalità di Shanghai, l’azienda ha più fondi che dubbi. E la borsa potrebbe essere il prossimo passo.
Nel frattempo, se ti capita un robot barista che ti serve un Negroni, sappi che non è magia. È solo Cina che fa cose. Con stile, precisione, e un business model che parla fluentemente il linguaggio del capitale. Non sarà ancora il futuro che immaginavamo, ma è già il presente che funziona. E spesso basta questo per cambiare le regole del gioco.