Chi si ostina a considerare il pricing degli agenti AI come un banale esercizio di spreadsheet non ha capito niente. Orb ha appena pubblicato il suo “2025 State of AI Agent Pricing” e, sorpresa, non si tratta dell’ennesima rassegna noiosa di modelli a tre colonne con abbonamenti annuali. È una radiografia chirurgica di come 66 aziende reali, con prodotti agentici sul mercato, stanno reinventando i modelli di monetizzazione nell’unico campo dove prezzo, valore e margine collassano a velocità computazionale. Altro che prezzo fisso mensile.

Il report di Orb distilla otto architetture di pricing che stanno emergendo come gli scheletri fondativi dell’economia agentica. Modelli già noti, certo, ma nel loro uso combinato e nella logica di montaggio modulare acquisiscono un potere esplosivo. Il caro vecchio subscription, per esempio, non è morto, ma diventa un ingrediente tra gli altri. Add-on, tiered access, freemium, usage-based, e persino outcome-based: tutti si giocano la loro parte nel grande ritorno del pricing come arte strategica e ingegneria applicata. Per chi ancora pensa che basti copiare i piani di Notion o Slack: tempo scaduto.

Il dato che colpisce come un uppercut? Il 92,4% delle aziende intervistate usa un modello ibrido. Tradotto: chi si ostina con un solo asse di prezzo è fuori tempo massimo. Subscription + usage + freemium + tiered è la combinazione più diffusa. Non per moda, ma perché funziona: bilancia prevedibilità, espansione e cattura del valore. È un pricing stratificato che accompagna la curva di adozione e crescita, offrendo accesso gratuito per abbattere la soglia iniziale e scalabilità per chi realmente consuma potenza agentica. Chi resta legato a una tariffa unica, piatta, annuale, vive in una finzione contabile che implode alla prima ondata di costi GPU.

Infatti, Orb è lapidaria: il pricing SaaS-only è un’illusione mortale. Flat rate e AI non stanno bene insieme, perché l’infrastruttura computazionale sotto gli agenti genera costi marginali che non puoi ignorare. L’85% dei vendor ora integra componenti usage-based proprio per evitare il collasso dei margini. È un ritorno al pricing connesso alla fisica del prodotto. Un agente AI non è un PDF o un file hosting. È un organismo vivo, che consuma token, CPU, RAM, e quindi danaro reale. Se non fai pagare in base al consumo, stai letteralmente sovvenzionando gli utenti heavy. Geniale, se sei una ONG.

Ma la vera perla sta nell’area outcome-based. Solo il 4,5% delle aziende intervistate lega il prezzo agli outcome, cioè ai risultati concreti ottenuti: lead generati, ticket risolti, vendite chiuse. Ed è qui che il report ci invita a riflettere. Mentre tutti inseguono le metriche di adozione, pochi stanno realmente monetizzando l’impatto. Eppure, gli agenti AI che sostituiscono lavoro umano venditori, assistenti, customer support sono candidati perfetti per modelli pay-per-performance. Perché vendere accesso, quando puoi vendere chiusura contratti?

La segmentazione “parallela” è un’altra arma che inizia a emergere: un elegante 12% di vendor offre modelli diversi a pubblici diversi. Prezzo fisso per utenti singoli, per-seat per i team, usage per le imprese che integrano. Questo approccio, più vicino al design di prodotto che al pricing classico, genera dati preziosi e aumenta la velocità di apprendimento. Non è solo una mossa commerciale, è un esperimento continuo sul product-market fit. Un pricing engine che diventa macchina evolutiva.

Non c’è nulla di semplice in tutto questo. Ogni leva, ogni combinazione, ogni metrica di outcome o usage aggiunge complessità. E qui arriva il punto più controverso: la vera barriera competitiva oggi è l’infrastruttura di billing. Chi non ha uno stack in grado di gestire dinamiche flessibili, monitorare consumo in tempo reale, applicare upgrade, add-on, outcome, è cieco. Letteralmente. Perché senza dati granulari e azionabili sul valore generato, il pricing diventa arte astratta. Non è un caso se alcuni dei migliori team di pricing oggi sono formati da ex product manager e ingegneri, non da ex finance.

Il pricing di un agente AI non è più un foglio Excel. È parte integrante del prodotto. È un meccanismo di crescita. È l’interfaccia commerciale della tua proposizione di valore. Decidere come, quanto e a chi far pagare è oggi un atto progettuale, strategico, tecnico. È lì che si vincono o si perdono i giochi, non nel pitch deck.

Eppure, quanti founder ancora dicono “iniziamo con freemium e poi vediamo”? No, non vediamo. Il report di Orb è chiaro: la monetizzazione degli agenti non è una fase post-lancio. È strutturale. È il core di una nuova economia digitale dove il lavoro è automatizzato, il valore è prodotto da CPU e il margine dipende da come misuri il valore generato. In questo contesto, il pricing non è una decisione di business. È una dichiarazione di identità.

Una frase del report merita di essere incorniciata: “Pricing isn’t a table in a Google Sheet. It’s your growth mechanic.” È un ammonimento per chi si accontenta del modello freemium sperando nella virality, per chi copia il pricing dei tool dev senza capirne la logica, per chi pensa che aggiungere un piano Pro basti a scalare. No. Il pricing di un agente AI è una leva di crescita, ma anche di selezione darwiniana. Se non sei in grado di progettarlo con intelligenza, sarà il mercato a progettare la tua estinzione.

La rivoluzione del pricing agentico non è solo una questione tecnica. È un cambio di paradigma culturale. In un mondo dove gli agenti AI stanno diventando worker digitali, con ruoli, performance, output e impatto reale, il modo in cui li facciamo pagare non può più essere un copia-incolla dal mondo SaaS. Serve una nuova grammatica del valore. Orb ha cominciato a scriverla. Chi non studia il report, molto presto, studierà le cause del proprio fallimento.