Foxconn è stufa di essere vista come il braccio operaio di Apple. Non vuole più solo stringere bulloni per iPhone da 1.000 dollari e margini da fame. La direzione è tracciata: infrastruttura per l’intelligenza artificiale. Ed è una direzione con cui nessuno a Taipei vuole scherzare. Mercoledì è arrivato l’annuncio: una partnership strategica con Teco Electric & Machinery, il colosso taiwanese dei motori industriali, per entrare con forza nel mercato globale dei data center dedicati all’AI. Non in modo decorativo, ma strutturale, fisico, concreto. Come in “server rack”, “UPS”, “raffreddamento”, “infrastruttura elettrica”, “espansione planetaria”. Una dichiarazione di guerra, non un comunicato stampa.
La notizia, oltre a fermare le contrattazioni sia di Foxconn (alias Hon Hai Precision Industry) sia di Teco, ha rivelato una mossa da scacchista consumato. Foxconn acquisisce il 10% di Teco, Teco si prende lo 0,519% di Foxconn. Non è un matrimonio d’amore, ma un patto tra due macchine da guerra industriali che hanno capito dove si gioca la prossima partita: nei megawatt dei data center per l’intelligenza artificiale. Teco porta in dote la muscolatura elettrica, Foxconn la scatola cranica dei server e la disciplina militare della catena di montaggio. Non servono romanticherie, servono miliardi di dollari e miliardi di transistor.
Il tempismo non è casuale. Foxconn ha appena fatto sapere al mondo che sta costruendo delle vere e proprie “fabbriche di AI” utilizzando i chip e il software di Nvidia, l’altra entità onnipresente nel pantheon tecnologico contemporaneo. Nvidia non è un fornitore. È un’ossessione globale. Chiunque tocchi AI oggi tocca Nvidia. E Foxconn ha già messo le mani in pasta: server AI, partnership automotive, moduli EV, microfabbriche riconfigurabili. Il CEO Liu Young-way, più che un manager, sembra un giocatore di Go con anni di anticipo sulla mossa dell’avversario.
Per chi conosce Teco solo come produttore di motori industriali e per veicoli elettrici, vale la pena puntualizzare che l’azienda è da oltre un decennio specializzata in soluzioni MEP per infrastrutture di data center. Non si limita ai motori, ma gestisce l’infrastruttura elettrica al di fuori delle stanze server. È il tipo di lavoro sporco ma essenziale, invisibile finché non si spegne la corrente e si perdono terabyte di dati in mezzo secondo. Non è sexy come un chip da 200 watt, ma senza di essa non si accende nemmeno una GPU.
Foxconn ha annunciato che l’obiettivo del nuovo sodalizio va oltre Taiwan e l’Asia. Il focus sarà anche sugli Stati Uniti e sul Medio Oriente. Tradotto: vogliono mordersi una fetta del mercato che oggi è dominato da hyperscaler americani e da consorzi arabi affamati di AI sovereignty. E ci stanno arrivando armati fino ai denti. Secondo il portavoce di Foxconn James Wu, il gioco è quello dell’integrazione verticale: progettazione, produzione, logistica, messa in funzione. Tutto dentro il perimetro, tutto dentro il controllo.
In fondo, questo è il vero vantaggio competitivo di Taiwan nell’era AI. Non solo chip. Anche know-how industriale e capacità di eseguire con precisione chirurgica. La produzione in scala è una religione a Taipei, il time-to-market un’ossessione. Non è un caso che Foxconn abbia chiuso il secondo trimestre con ricavi record trainati proprio dalla domanda di soluzioni AI, pur avvertendo che il futuro sarà condizionato dalle tensioni geopolitiche e dalle fluttuazioni valutarie. Che sia un avvertimento o una provocazione, poco importa. Il messaggio è chiaro: chi controlla l’infrastruttura AI controlla la prossima economia.
Teco, dal canto suo, ha già iniziato a muoversi sullo scacchiere globale con l’acquisizione dell’80% di NCL Energy, entrando con forza nel mercato dell’infrastruttura per data center in Malesia. Proprio lì ha già chiuso progetti importanti nei distretti chiave di Selangor e Johor Bahru. Non sono territori banali. Sono regioni strategiche dove la connettività sottomarina, la neutralità energetica e la prossimità ai nuovi hub AI dell’Asia fanno gola a tutti.
La narrazione classica suggerirebbe che Foxconn stia semplicemente diversificando. Che stia cercando di sopravvivere all’inevitabile declino del business degli smartphone. Ma questa è una lettura pigra. In realtà, quello che Foxconn sta facendo è cambiare pelle, passando da “contract manufacturer” a “AI infrastructure enabler”. Una metamorfosi strategica che implica non solo nuovi partner, ma un nuovo lessico. Non si parla più di smartphone, si parla di “AI factories”, di “sovereign clouds”, di “server rack customization”.
Nvidia non è più solo un cliente. È il passaporto per entrare nei palazzi dorati del nuovo ordine tecnologico. E Foxconn, che ha sempre giocato dietro le quinte, ora vuole salire sul palco. Ma non da solista. Con sé porta Teco, che finora ha costruito motori per girare turbine e ruote, ma ora sarà chiamata ad alimentare il cuore pulsante della civiltà digitale: i data center per il machine learning.
L’integrazione tra hardware pesante e hardware intelligente non è mai stata così urgente. L’intelligenza artificiale non si nutre solo di dati, ma di energia, raffreddamento, stabilità elettrica. Per ogni chip da 30.000 dollari c’è bisogno di un’infrastruttura che regga il colpo. E in questo ecosistema, Foxconn e Teco hanno deciso di non essere più subappaltatori silenziosi, ma architetti del nuovo tempio computazionale.
Questa mossa apre anche un altro fronte: quello della sicurezza energetica per le AI. Non è più solo questione di calcolo, ma di sovranità elettrica. Di uptime garantito. Di resilienza. Mentre l’occidente si perde in discussioni etiche sull’AI, l’oriente costruisce gli edifici dove quelle AI vivranno, respireranno, si addestreranno. C’è chi scrive white paper, e chi fa saldature.
Il gioco si sposta. Dai processori alla corrente. Dai layer software alla dissipazione termica. Dall’interfaccia utente alla cabina elettrica. E nel mezzo, Foxconn e Teco. Due aziende taiwanesi, fino a ieri relegate al ruolo di comparse nel racconto dell’innovazione, che ora vogliono riscrivere il copione. Non più esecutori, ma autori. E il palcoscenico è globale.