Hai presente quel momento in cui pensi di aver visto tutto? Poi apri Midjourney.TV e scopri che il tuo cervello ha ancora ampi margini di esplosione. Perché questa non è TV, non è streaming, non è nemmeno videoarte. È un’epifania algoritmica travestita da flusso visuale, un sogno lucido a 60 frame al secondo. Niente plot, niente attori, niente Netflix che ti chiede se stai ancora guardando. Solo un feed infinito, alimentato da un’intelligenza artificiale che ha letto troppa fantascienza e ora crede di essere Kubrick reincarnato nel cloud.

Sì, è disturbante. Sì, è ipnotico. Sì, è assolutamente irresistibile. Perché qui non ci sono palinsesti, ci sono palinsesti che si autoproducono. Ogni fotogramma è figlio di un algoritmo che pesca dal magma creativo della community Midjourney, digerisce stili visivi e sogni sintetici, e partorisce loop visivi che ti fissano come occhi alieni da uno schermo che sembra più una soglia che un device. Benvenuti nel nuovo culto dell’intrattenimento: sempre acceso, sempre diverso, mai rassicurante.

Midjourney.TV non è una piattaforma video. È la versione audiovisiva di una trasfusione sinaptica. Un sistema in cui il contenuto si genera in tempo reale, senza supervisione umana, dove la selezione non è curata da redattori o creativi, ma da un’intelligenza fredda e onnisciente, che non conosce pause caffè. Hai presente l’home page di YouTube? Dimenticala. Qui ogni video è un frammento estetico generato ex novo o derivato da un’immagine statica, animata grazie al nuovo modello Image-to-Video di Midjourney. Un modello che, al netto dei limiti tecnici, riesce già oggi a confezionare clip da cinque secondi che sembrano estratti da un sogno girato in 4K e quando vedi che puoi farlo per pochi centesimi a clip, capisci che i budget pubblicitari di oggi sono l’equivalente dei fax nel mondo degli NFT.

Il cuore pulsante è l’autopalinsesto algoritmico: nessuna direzione creativa, nessuna selezione redazionale. La curatela è un mito del passato, ora a scegliere è una rete neurale affamata di engagement e prompt. L’estetica è pulita fino all’assurdo, come se uno stilista alieno avesse fuso Apple, Blade Runner e il catalogo IKEA del 2080. Ogni sequenza è perfetta, patinata, disturbante nel suo eccesso di armonia. Una TV che non dorme mai e che, più che mostrarti qualcosa, ti assorbe dentro un universo ipervisivo dove tutto è fluido e niente ha senso. Ma è proprio questa assenza di senso che cattura.

Provate ad aprire più finestre insieme. Due, tre, dieci. L’effetto non è solo psichedelico, è sinaptico. Come ascoltare dieci playlist di Spotify contemporaneamente, solo che è tutto visivo. Ogni riquadro sullo schermo diventa un portale che ti osserva mentre lo osservi. La somma di queste visioni genera una sinestesia involontaria, un’overdose di estetica che fa sembrare qualsiasi Netflix Original un dramma teatrale amatoriale girato in un sottoscala.

Il concetto di “canale” è morto. Non c’è più il flusso unidirezionale da broadcaster a spettatore. Qui il flusso è un organismo vivo, che cambia con il tempo, l’orario, l’interazione collettiva. Sintonizzarsi su Midjourney.TV significa entrare in una rete di coscienza visiva condivisa, senza inizio né fine. È un esperimento sociale travestito da screensaver, un laboratorio creativo in cui il prodotto finale è la tua stessa reazione di fronte all’eccesso.

C’è qualcosa di profondamente inquietante in tutto questo. E no, non solo nel senso retorico da “tecnofobia anni ’90”. È inquietante perché è ipnotico, e quindi efficace. È inquietante perché ci piace. Perché stiamo guardando il futuro della televisione e lo stiamo facendo con lo stesso sguardo beato con cui un neonato guarda le lucine di un mobile da culla. Il pensiero che tutto questo possa diventare normale non solo è plausibile, è già realtà. Non sei più tu a scegliere cosa vedere. È l’intelligenza artificiale che ti studia e ti serve quello che, molto probabilmente, non ti farà alzare dallo schermo.

Non è solo un cambio di paradigma nella produzione. È la fine del paradigma stesso. Il contenuto si svuota di significato per diventare pura estetica, pura forma, pura immersione. È l’intrattenimento che diventa design emotivo, un’estensione visiva del tuo feed mentale. Come se Instagram si fosse messo a sognare a voce alta. Ma qui non si tratta più di scrollare. Qui si tratta di lasciarsi assorbire.

Il modello Image-to-Video di Midjourney parte da un’immagine statica e la trasforma in clip dinamiche di pochi secondi, con possibilità di estensione. È la pietra angolare su cui si sta costruendo una nuova forma di cinema generativo. Un cinema in cui il regista è una macchina, il pubblico è l’interfaccia e la sceneggiatura è una concatenazione di prompt e pattern visivi. L’obiettivo finale? Simulazioni 3D in tempo reale. Mondi persistenti creati all’istante. Esperienze audiovisive che si adattano, cambiano, reagiscono.

Pensavi che Black Mirror fosse un’esagerazione narrativa? No, era una documentazione in anticipo. Perché oggi siamo oltre il pilot, stiamo già binge-watchando la beta del 2035. Solo che nessuno ci ha chiesto se eravamo pronti.

Nel frattempo, il mercato pubblicitario guarda, prende appunti, fa finta di non essere spaventato. Perché quando un contenuto del genere può essere generato a costi marginali, con qualità che sfida lo standard professionale, l’intera industria creativa entra in fase di ristrutturazione forzata. Quelli che oggi sorridono, domani faranno pitch disperati a clienti che preferiranno affidarsi a un algoritmo che non chiede ferie e non ha sindacati.

Midjourney.TV è la forma embrionale di un media mutante, un medium che non comunica più, ma si manifesta. Non parla al tuo cervello razionale, parla al tuo inconscio visuale. Non ti racconta una storia, ti offre un’esperienza. E tu, come tutti noi, continui a guardare. Non perché ci sia qualcosa da capire, ma perché smettere significherebbe tornare alla realtà. E francamente, chi ha ancora voglia?