Se sei un CEO abituato a leggere numeri noiosi la mattina, ecco qualcosa che ti sveglierà più di un espresso doppio: Palantir ha appena chiuso un trimestre da 1 miliardo di dollari di fatturato, con una crescita secca del 48%. Traduzione per i meno navigati: il gigante dell’AI ha acceso il turbo. E no, non è solo una buona trimestrale, è un segnale. Qualcosa si sta muovendo sotto la superficie. Un free cash flow di 569 milioni di dollari, +280% rispetto all’anno scorso. Se Wall Street non si accorge di questo, è perché sta ancora cercando il mouse.

Nel rumore di fondo della Silicon Valley, dove ogni azienda promette di rivoluzionare il mondo con l’intelligenza artificiale, Palantir ha qualcosa che gli altri non hanno: clienti che pagano, e tanto. I contratti governativi sono ancora la spina dorsale, ma è la crescita nel settore privato USA che fa saltare dalla sedia. Un bel +93% nei ricavi corporate americani, pari a 306 milioni di dollari. E mentre molti software enterprise arrancano, Palantir strappa quote di mercato a colossi come SAP, ServiceNow e Microsoft Power BI, candidandosi a diventare il sistema operativo decisionale del XXI secolo. Non un tool in più, ma un sostituto silenzioso e brutale.

La narrazione è lineare: le aziende vogliono risparmiare, automatizzare, eliminare inefficienze. Palantir offre tutto questo sotto la patina lucida dell’intelligenza artificiale. Il trucco? Vendere outcome, non codice. E funziona. Basta osservare le nuove previsioni: 4,1 miliardi di dollari di fatturato stimato per l’anno intero, in rialzo rispetto ai 3,9 miliardi di maggio. Gli analisti si grattano la testa, gli investitori sorridono. Il titolo sale del 4% nel post-market. Per chi ha il polso dei mercati, è chiaro che ci troviamo davanti a qualcosa di più profondo di una trimestrale brillante.

Nel frattempo, mentre Palantir avanza, Cognition l’azienda dietro la celebre AI Devin dimostra quanto può essere caotica la Silicon Valley. Tre settimane dopo aver acquisito Windsurf, ha già offerto nove mesi di buonuscita a 200 dipendenti. Una mossa cinica o geniale, a seconda di chi paga lo stipendio. Nel suo memo interno, il CEO Scott Wu non lascia spazio a dubbi: si lavora 80 ore a settimana, sette giorni su sette. È la nuova normalità nel mondo AI driven: iperproduttività o esaurimento programmato. Il compromesso è chiaro, e non tutti sono disposti a firmarlo.

C’è anche una nota più sinistra, degna di una spy story taiwanese. TSMC ha licenziato due ingegneri e denunciato tre dipendenti per furto di segreti industriali. Stiamo parlando di tecnologia critica, quella che decide chi domina nella guerra dei semiconduttori. Dietro ogni wafer di silicio c’è una battaglia geopolitica e industriale che TSMC non può permettersi di perdere. Apple, Nvidia, l’intero ecosistema AI dipende dalla capacità di questa azienda di tenere le sue innovazioni lontane dagli occhi indiscreti di Pechino, Seoul o, peggio ancora, della concorrenza interna.

Nel frattempo, Alibaba tenta di convincere il pubblico cinese che la sua AI è più sveglia del GPS di Apple. Amap 2025 non è solo una app di navigazione, è un esperimento sociale travestito da assistente vocale. Basato sul modello linguistico Qwen, promette suggerimenti proattivi, prenotazioni intelligenti e raccomandazioni personalizzate. Suona bene, se si ignora il fatto che la stessa AI conosce perfettamente ogni tuo spostamento, abitudine e preferenza culinaria. La guerra per l’AI consumer in Cina è un duello tra ByteDance, Tencent e Alibaba. Chi vince controlla non solo il mercato, ma anche il comportamento dei consumatori. Spoiler: in questo scenario non ci sono “scelte consapevoli”.

Mentre i colossi si ristrutturano, le startup crypto tentano l’assalto al pubblico mercato. Bullish, con una valutazione potenziale di 4,2 miliardi di dollari, sta per lanciare la sua IPO. Sostenuta da Peter Thiel e con una mossa astuta che prevede la conversione dei proventi in stablecoin, punta a finanziare acquisizioni future. BlackRock e ARK sono pronte a investire. Una scelta che dice molto: le istituzioni non stanno uscendo dalle crypto, stanno scegliendo con attenzione chi sopravvivrà alla selezione naturale.

Anche Figure Technology si prepara all’IPO, dopo aver superato resistenze regolatorie e rilanciato un modello basato su mutui blockchain e scambi di asset tokenizzati. Una linea di credito, una blockchain proprietaria e un EBITDA di 121 milioni. Non è più tempo di white paper sognanti, ma di numeri solidi e trimestrali leggibili. L’era dell’hype è finita, quella dell’AI e crypto come infrastruttura è appena iniziata.

Tornando a Palantir, forse la cosa più interessante non è tanto il miliardo di fatturato, quanto la narrativa che accompagna il business. Mentre molti vendor vendono licenze e promesse, Palantir vende integrazione verticale, end-to-end. Non è un software, è un ecosistema. In un’epoca in cui le aziende cercano disperatamente di riorganizzarsi intorno all’intelligenza artificiale, l’offerta di Palantir si posiziona come un sistema nervoso per l’impresa. E in tempi di incertezza, chi controlla il sistema nervoso, controlla tutto.

Nel silenzio dei consigli di amministrazione, il messaggio è già arrivato: chi non è già integrato con strumenti predittivi e capaci di automatizzare l’intera filiera decisionale, è in ritardo. E quando si è in ritardo nel mondo AI, non si recupera. Si viene sostituiti. Da un algoritmo. Magari, da uno sviluppato da Palantir.