Google si trova al centro di una causa collettiva che potrebbe costare miliardi e scuotere le fondamenta della privacy digitale. Gli accusatori sostengono che tra il 2016 e il 2024 l’azienda abbia continuato a raccogliere dati pseudonimi degli utenti attraverso app di terze parti, persino quando gli stessi utenti avevano esplicitamente scelto di non essere tracciati. Questi dati, pur non contenendo nomi reali, erano sufficienti per costruire dettagliati profili comportamentali, offrendo a Google una finestra silenziosa sulle abitudini di milioni di persone.
I querelanti denunciano un meccanismo subdolo: Google avrebbe usato il codice di Google Analytics e Firebase inserito in numerose app di terze parti, raccogliendo informazioni anche con le impostazioni di “Web & App Activity” disattivate. In altre parole, dire “no al tracciamento” non avrebbe significato nulla, trasformando il concetto di consenso informato in un’illusione di facciata. L’immagine dell’azienda come paladina della trasparenza e del design user-friendly rischia di sgretolarsi di fronte a questa accusa.
La difesa di Google si regge su un concetto quasi surreale: informare gli utenti in dettaglio sulle modalità di raccolta dati sarebbe troppo complesso, generando un “sovraccarico cognitivo”. Tradotto in parole povere, secondo Google sarebbe meglio non dire tutto per non confondere le persone. Critici e avvocati vedono in questa argomentazione un’ammissione velata di manipolazione, un mix di incompetenza progettuale e strategia deliberata per evitare trasparenza.
Questo caso mette in luce la tensione centrale dell’economia digitale moderna: le grandi aziende promettono semplicità e protezione dell’utente, mentre prosperano su pratiche opache che violano la fiducia dei consumatori. La questione non è soltanto legale, ma etica. La linea tra comodità e sfruttamento dei dati diventa sempre più sottile, e la sentenza potrebbe ridefinire il modo in cui le aziende tecnologiche comunicano con gli utenti e rispettano il loro consenso.
Molti utenti ignorano che app apparentemente innocue contengono codice che trasmette informazioni a Google, creando un ecosistema nascosto dove il “no al tracciamento” su una piattaforma non garantisce privacy totale altrove. La vicenda solleva domande fondamentali sulla trasparenza, sulla responsabilità aziendale e sulla capacità delle persone di controllare veramente i propri dati.
Se i giudici daranno ragione ai querelanti, il precedente legale potrebbe forzare una nuova era di responsabilità, costringendo Google e altre aziende a chiarire come raccolgono e utilizzano informazioni, chiudendo le scappatoie tecniche che oggi permettono il tracciamento silenzioso. Non si tratta solo di miliardi di dollari in gioco, ma della definizione di principio: fino a che punto il “semplificare la vita” giustifica l’erosione della privacy?
In un’epoca in cui la tecnologia invade ogni aspetto della nostra quotidianità, questo processo ci ricorda che l’equilibrio tra convenienza e trasparenza è fragile. Il risultato non determinerà solo il destino finanziario di Google, ma anche il livello di controllo che gli utenti hanno sui propri dati in un mondo sempre più interconnesso. La domanda finale resta inquietante: davvero possiamo fidarci di aziende che dicono di “mettere l’utente al centro” mentre raccolgono dati dietro le nostre spalle?
Rodriguez v. Google LLC
Questo caso legale è stato avviato da quattro utenti che sostengono che Google abbia continuato a raccogliere dati dalle loro attività su app di terze parti anche quando avevano disattivato le impostazioni di “Web & App Activity” (WAA) tra il 2016 e il 2024. Il tribunale federale della California ha respinto la richiesta di Google di archiviare la causa, consentendo al caso di procedere come azione collettiva. Il giudice ha stabilito che, nonostante le impostazioni di privacy disattivate, i dati venivano comunque inviati a sviluppatori di app di terze parti tramite strumenti come Firebase Analytics. Questo ha sollevato preoccupazioni riguardo alla trasparenza e al consenso informato degli utenti.