L’Unione Europea ha inflitto a Google una multa da € 2,95 miliardi (circa $3,45–3,5 miliardi) per abuso della posizione dominante nel settore ad-tech. In breve, Google favoriva i propri strumenti (AdX e DFP), penalizzando editori, inserzionisti e la concorrenza. La Commissione ha dato 60 giorni per presentare rimedi “seri”, altrimenti si valuta uno smembramento strutturale, con vendita delle attività incriminate.

Quando la Commissione Europea individua un abuso di posizione dominante, come nel caso di Google nel settore ad‑tech, può infliggere una multa milionaria o miliardaria. La cifra si calcola solitamente come percentuale del fatturato mondiale dell’azienda interessata (tipicamente fino al 10% del fatturato annuo), oltre a eventuali interessi maturati. La multa serve sia come punizione sia come deterrente per evitare comportamenti anticoncorrenziali futuri.

Subito dopo la decisione, l’azienda ha diritto a fare ricorso davanti al Tribunale dell’Unione Europea (TUE) e, successivamente, davanti alla Corte di Giustizia UE. Questo processo legale può richiedere da due a cinque anni, a volte anche più. Durante questo periodo, il pagamento effettivo può essere sospeso, anche se spesso l’azienda deve depositare una somma provvisoria a garanzia, che non copre però necessariamente l’intera multa.

Storicamente, Google ha sfruttato questa procedura molte volte. Ad esempio:

  • Nel 2017, l’UE multò Google con 2,42 miliardi di euro per pratiche anticoncorrenziali legate a Google Shopping. Google fece ricorso, ma la multa venne confermata in larga parte, sebbene il procedimento legale dilatò i tempi e rese possibile discutere dettagli tecnici della sanzione.
  • Nel 2018, la multa contro Android fu di 4,34 miliardi di euro. Google ha ricorso e ancora oggi alcune contestazioni formali sul calcolo e sulla modalità di imposizione restano aperte, ritardando il pagamento completo.

Un elemento chiave è che l’UE può aggiungere ulteriori sanzioni giornaliere se l’azienda non rispetta le prescrizioni entro i termini stabiliti. Questo crea un incentivo a negoziare rapidamente rimedi pratici (modifiche ai prodotti, accordi con partner o pratiche di trasparenza), perché il costo di ulteriori multe può diventare superiore alla cifra originale.

Quando leggi “Google dovrà pagare 2,95 miliardi di euro”, la frase è corretta formalmente, ma nella pratica il pagamento può:

  1. Essere dilazionato per anni attraverso ricorsi legali.
  2. Essere parzialmente ridotto in caso di accordi o aggiustamenti tecnici.
  3. Essere accompagnato da modifiche obbligatorie al business, spesso più impattanti del denaro stesso.

Apple: multe per evasione fiscale

Apple è stata coinvolta in casi antitrust legati a pratiche fiscali. Nel 2024, la Corte di Giustizia dell’UE ha ordinato ad Apple di pagare € 13 miliardi di tasse arretrate all’Irlanda, accusando l’azienda di aver ricevuto vantaggi fiscali illegali. Questo caso evidenzia come l’UE affronti anche questioni fiscali nell’ambito della concorrenza, cercando di garantire condizioni di parità per tutte le imprese operanti nel mercato unico europeo.


Microsoft: sanzioni per pratiche monopolistiche

Microsoft ha affrontato diverse indagini antitrust in Europa, principalmente per pratiche monopolistiche legate ai suoi sistemi operativi e software. Le sanzioni imposte sono state significative, ma l’azienda ha adottato misure per conformarsi alle normative europee. Ad esempio, ha separato alcune delle sue attività e ha offerto maggiore interoperabilità con software di terze parti. Queste azioni hanno contribuito a migliorare la concorrenza nel mercato tecnologico europeo.