In Italia parlare di cybersecurity non è mai stato così urgente, eppure così poco sexy. Poi arriva il Fucina Cyber Lab e cambia improvvisamente il registro. Un programma che non si limita a fare da vetrina istituzionale, ma che mette in campo denaro vero, mentorship reale e accesso a un network che va oltre le solite passerelle. Alan Advantage, che non è l’ennesima società in cerca di gloria ma un “Operational Venture” con storia e numeri, ha deciso di sporcarsi le mani insieme all’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale. Il risultato è un acceleratore per startup innovative early-stage che non si limita a raccontare l’innovazione, ma cerca di costruirla pezzo dopo pezzo.
Se si osserva il mercato della cybersecurity in Italia con l’occhio disincantato di chi ha visto troppi bandi morti sul nascere, il programma appare come un outlier. Non solo grant fino a 50 mila euro da ACN, ma anche un investimento ulteriore da Alan Advantage tra 20 e 50 mila euro. Non stiamo parlando delle briciole che spesso vengono spacciate per supporto, ma di un modello di co-investimento che abbassa la soglia di rischio per chi entra e crea finalmente un incentivo reale a fare impresa nel settore. È un segnale forte, soprattutto se confrontato con la cronica scarsità di capitali early-stage che penalizza l’ecosistema nazionale.
C’è un dettaglio che fa sorridere chi ha memoria lunga. Alan Advantage non è nata ieri: fondata nel 2005, ha incubato oltre 30 startup dal 2015, ottenendo cinque exit e con una valutazione di portafoglio che supera i 7 milioni di euro. Numeri che in Silicon Valley farebbero alzare appena un sopracciglio, ma che nel panorama italiano assumono un peso specifico decisamente maggiore. Il team non è improvvisato: Alfredo Adamo, Federico Quarato, Silvia Adamo portano competenze che spaziano dal venture capital alla consulenza strategica, e soprattutto un’agenda di contatti che fa la differenza. Non è il classico advisory board di nomi altisonanti e irrilevanti, ma un gruppo operativo.
Il bello è che il Fucina Cyber Lab non si limita a un percorso di formazione teorica, ma offre strumenti tangibili. Più di trenta sessioni di mentorship, un supercomputer per l’AI chiamato MEGARIDE, una settimana di immersione totale a Londra con Feel Venture. Tutto ciò non è semplice contorno, è infrastruttura abilitante. In un mercato in cui la cybersecurity Italia deve ancora emanciparsi dall’essere percepita come un obbligo normativo piuttosto che un fattore strategico di competitività, avere accesso a risorse del genere cambia la traiettoria di una startup.
È interessante notare come la collaborazione con ACN dia al programma una legittimità istituzionale che mancava in precedenti tentativi. La nascita del Cyber Innovation Network, di cui Fucina Cyber Lab fa parte, segna una prima presa di coscienza: la sicurezza digitale non è un capitolo accessorio, è un settore industriale da sviluppare. Il fatto che il programma connetta startup con istituzioni, venture capitalist e grandi aziende disegna un ecosistema più maturo. Eppure resta la domanda: l’Italia saprà cogliere l’occasione o resterà l’ennesimo progetto pilota celebrato e dimenticato nel giro di due anni?
La risposta, come sempre, arriverà dalla qualità delle startup selezionate. Un acceleratore può fornire capitale, mentor, accesso a Londra e perfino un supercomputer, ma se le idee non hanno spessore restano gusci vuoti. Il mercato globale della cybersecurity corre a una velocità spaventosa, con competitor che bruciano milioni di dollari al mese in ricerca e sviluppo. In questo contesto, il Fucina Cyber Lab può rappresentare un trampolino o un bellissimo parco giochi finanziato dai contribuenti. Il vero valore si misurerà nelle exit e nelle partnership industriali, non nei comunicati stampa.
Chi guarda con l’occhio del venture capitalist non può non notare un vantaggio competitivo: il rischio è abbattuto da un modello di co-finanziamento, il settore è in crescita esponenziale e l’Italia è un terreno relativamente vergine. La specializzazione verticale nella cybersecurity consente di intercettare nicchie di mercato che in altri ecosistemi sono già iper-sature. È quasi ironico che un Paese accusato per anni di non saper proteggere i propri dati e infrastrutture digitali voglia ora diventare un hub per startup innovative nel settore. Ma il tempismo non è male: la domanda è altissima e l’offerta interna è ancora scarsa.
Un dettaglio che rivela l’ambizione è la scelta di Londra per la full immersion internazionale. Non Silicon Valley, non Berlino, ma la capitale europea che più ha dimostrato di saper coniugare finanza, regolamentazione e innovazione digitale. È un messaggio chiaro: non basta essere bravi tecnicamente, serve anche capire come presentarsi a chi scrive assegni con più zeri. È qui che la mentorship e il network di Alan Advantage giocano la partita più importante. Perché costruire una startup di cybersecurity Italia non significa soltanto sviluppare un algoritmo, ma anche convincere investitori, partner e clienti che valga la pena puntare su di te.
Il Fucina Cyber Lab è una scommessa, certo, ma almeno è una scommessa con fondamenta. Un ecosistema fatto di grant, capitale privato, network istituzionali e infrastrutture tecnologiche. L’Italia non è mai stata il Paese dei capitali pazienti, ma se c’è un settore in cui la crescita può diventare esponenziale è proprio la sicurezza digitale. Chi oggi sottovaluta questa iniziativa rischia di ritrovarsi domani a rincorrere startup che avranno già alzato capitali altrove, magari proprio grazie a un trampolino costruito qui.