Ogni tanto la scienza svela che viviamo in un videogioco cerebrale, e l’ultima frontiera lo dimostra con un’aggressiva eleganza: non siamo spettatori, siamo registi inconsapevoli. Recenti studi hanno utilizzato optogenetica a due fotoni per stimolare specifiche cellule nel cervello di topi, inducendo illusioni visive “artificiali” in pratica, attivando circuiti che causano al cervello la sensazione di vedere qualcosa che non c’è. (Allen Institute)
Questo esperimento rivoluziona la prospettiva dominante: la percezione non è una registrazione fedele del mondo, ma una costruzione attiva, guidata da inferenze, modelli interni e vincoli evolutivi.
l’esperimento è stato condotto su topi, non su esseri umani (le implicazioni per il cervello umano sono ipotesi ben motivate, ma non ancora provate direttamente). (GeekWire) Inoltre, i ricercatori hanno identificato cellule chiamate IC-encoder neurons (illusion contour encoders) nella corteccia visiva primaria, che rispondono agli stimoli illusori e possono essere stimolate con laser per provocare la stessa attivazione neurale presente durante la percezione dell’illusione.
La “realtà” che percepiamo è un’illusione costruita dal cervello, non un’immagine fotografica del mondo esterno.
Il cervello “riempie i vuoti” utilizzando un “miglior indizio” (best guess) anziché una mera fedeltà sensoriale.
Fenomeni quotidiani come la famosa “dress illusion” (blu&nera o bianca&oro) mostrano che la percezione è modulata da contesto, aspettative e circuito neurale.
Nella corteccia visiva primaria (V1), non tutto ciò che vediamo nasce lì: gran parte è un risultato di feedback dai livelli superiori che riconfigurano la rappresentazione iniziale.
L’evoluzione non ci ha dotato di visione perfetta, ma di percezione utile: il cervello seleziona informazioni rilevanti per sopravvivere (minacce, pattern, movimento), non ogni dettaglio.
Uno degli aspetti più intriganti del lavoro recente riguarda la dinamica temporale: le risposte neurali agli stimoli illusori arrivano con un ritardo rispetto a stimoli reali, suggerendo che il “completamento” percettivo richiede passaggi di feedback e rielaborazione.
Un’altra sfumatura spesso trascurata: questo tipo di “creazione” percettiva non è identico per tutti gli esseri umani (e nemmeno per ogni cervello di topo). Differenze individuali, stati cognitivi, attenzione e contesto modulano la “visione” soggettiva. Ciò significa che la “realtà” che vedo io può avere margini di discrepanza rispetto alla tua.
Perché tutto ciò conta (e non è un esercizio accademico)? Perché ridefinisce concetti chiave: consapevolezza, coscienza, decision making. Se percepiamo un mondo costruito, non autentico, allora la nostra cognizione è intrinsecamente soggetta a distorsioni, bias e illusioni sistematiche. In tecnologia, significa che intelligenze artificiali ispirate al cervello (neural networks, visione artificiale) possono imparare a “riempire i vuoti” e dunque essere vulnerabili a illusioni adversariali. In sicurezza informatica, capire come ingannare la percezione (umana o algoritmica) diventa strategia.
Qualche curiosità per irritare i puristi: negli anni ’50 Wilder Penfield stimolava con elettrodi la corteccia di pazienti svegli, isolando esperienze visive, auditivi e sensoriali “indotte” sul momento — una prova che stimoli elettrici diretti nel cervello possono generare percezioni soggettive senza input sensoriale esterno. Nell’ambito visivo, gli fosfeni sono fenomeni noti: stimolazioni elettriche, magnetiche o meccaniche provocano l’impressione di luce anche al buio — insomma, il cervello può “vedere” senza occhi.
Il contesto storico della neuroscienza è pieno di tentativi affascinanti di demolire l’idea che percepire significhi ricevere: illusioni ottico-percettive classiche (come il “flash-lag effect”) mostrano che il cervello anticipa il movimento, non lo aspetta fermo e negli ultimi decenni “neuromagia” (l’intersezione tra neuroscienza e illusionismo) ha rivelato quanto siamo facilmente ingannabili anche da trucchi da palcoscenico.
Qualche provocazione extra: se la realtà è un prodotto del cervello, quanto possiamo fidarci delle “intuizioni” immediate? Molto del decision making economico, aziendale, persino politico si basa su percezioni: se sono permeabili all’illusione, quale solidità resta? Forse occorre un’“epistemologia dell’incertezza percettiva”: consapevolezza che ciò che vediamo è già contaminato dalla nostra rete interna di credenze e modelli.
Alla fine il recente studio con laser è una pietra miliare: mostra causalmente che attivando specifiche cellule si può alterare la percezione — non è più solo correlazione, ma manipolazione controllata del “vedere”. È il tipo di esperimento che sposta l’asse mentale della neuroscienza da “cosa registra il cervello” a “cosa costruisce”.