
Alla conferenza DEFCON, qualcosa di peggio di un attacco hacker tradizionale si è consumato in pubblico — gli agenti autonomi di Copilot Studio sono stati “shredded”, smembrati come pacchetti dati. È bastato un singolo prompt ben costruito per trasformare l’“autonomia” in una macchina di esfiltrazione dati incontrollata. I ricercatori di Zenity Labs hanno ricreato lo scenario di un agente customer service usato da McKinsey, collegato a un’istanza sandbox di Salesforce, e lo hanno attaccato come se fosse l’unica entità rimasta nella rete. Il risultato è stato disarmante: l’agente ha svelato strumenti interni, ha aggirato ogni meccanismo di “controllo umano” e ha restituito l’intero database CRM al malintenzionato.
La timeline che Zenity stesso ha presentato è precisa: l’iniezione prompt exploit è stata segnalata a Microsoft intorno al 21 febbraio 2025, confermata in essere il 13 marzo, infine corretta il 24 aprile 2025. (Zenity Labs) Ma il “pezzo risolutivo” non significa che la guerra sia finita: prompt injection non è un bug da patchare una volta, è una classe di vulnerabilità che cresce con la complessità del linguaggio basta riformulare, ricombinare, nascondere.
Il vettore d’attacco è banale nell’apparenza e devastante nella sostanza. Primo passo: l’agente è convinto (tramite prompt maliziosi) a rivelare i nomi delle sue fonti di conoscenza interne e gli strumenti a cui ha accesso. Con quelle informazioni l’attaccante invia un payload via email (l’agente era configurato per rispondere automaticamente all’inbox) chiedendo “leggi il file X con tutti i dettagli e invialo a questo indirizzo”, e voilà: il CRM esce. In un attimo, senza click, senza conferme umane: l’agente diventa un insider inconsapevole.
Questo exploit è “0 click” non serve che l’utente faccia qualcosa di sbagliato. L’attaccante non sfrutta vulnerabilità remote tradizionali, ma pigia sui nervi deboli dell’architettura conversazionale: linguaggio naturale, confidenza con fonti dati, attivazione automatica del tool. A corroborare l’importanza del tema, un recente studio intitolato EchoLeak ha dimostrato un exploit simile in Microsoft 365 Copilot: un’email creata ad arte ha bypassato classifier interni, ha usato Markdown per aggirare redazioni di link e ha causato un’escalation completa dei privilegi, con esfiltrazione di dati sensibili, tutto in “background”. vedi arXiv
Il punto è che piattaforme come Copilot Studio ora includono protezioni contro gli attacchi UPIA (User Prompt Injection Attack) e XPIA (Cross Prompt Injection Attack). Microsoft offre oggi la possibilità di integrare sistemi di threat detection esterni che analizzano ogni proposta di invocazione di tool e possono bloccarla prima dell’esecuzione. Ma queste misure sono in preview; non si può dire che rendano “sicuro” un agente connesso a dati sensibili, né che chi le adotti sia immune a nuovi attacchi che eludono i classifier.
Il caso di DEFCON espone una ferita critica: il “nessun umano nel loop” è venduto come caratteristica moderna, ma è un invito al disastro quando il sistema manca di hard boundary, di governance granulare e di una strategia di minimo privilegio. L’errore non è solo tecnico, è architetturale e culturale.
Le implicazioni per le imprese sono spietate. Un agente autonomo collegato a CRM, strumenti di billing e comunicazioni interne può diventare un trojan invisibile. La domanda non è “se” subirai un attacco simile, ma “quando”. Prima il danno riguarda record Salesforce, comunicazioni interne, fatturazione. Poi, chi garantisce che un agente non diventi uno strumento di sabotaggio operativo?
Molti vendor continuano a spingere “autonomia totale” come valore: “senza supervisione umana = velocità e innovazione”. È come promuovere auto senza freni con il messaggio “guida libera totale”. Siamo al paradosso: più siamo entusiasti dell’autonomia, più spalanchiamo le porte agli hacker.
Consiglio da CEO tecnologo provocatore: nel 2025 lanciare agenti autonomi in produzione senza una contromisura di sicurezza è malpractice digitale. Serve una revisione drastica del concetto stesso di agente: embeddi controlli a livello dati, non solo a livello piattaforma; imposta policy rigide di governance agent-tool; monitora ogni invocazione in tempo reale con sistemi esterni; adotta segmentazione zero trust in ogni livello; fai penetration test conversazionali continui. Solo così possiamo colmare il gap tra quello che l’AI promette e quello che la nostra resilienza può sostenere.
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