Brillante, arrogante e con quel tocco di inevitabile superiorità che solo la Silicon Valley sa mettere in scena, Google DeepMind ha deciso che per capire il futuro dell’intelligenza artificiale bisogna scavare nel passato. Non quello recente, fatto di Big Data e algoritmi distribuiti, ma quello delle iscrizioni latine scolpite su pietra due millenni fa. Il nuovo modello AI, battezzato con un nome tanto altisonante quanto ambizioso, Aeneas DeepMind, promette di rivoluzionare la comprensione dei testi antichi. Qualcuno direbbe che è un vezzo da accademici, ma i numeri raccontano un’altra storia. Perché quando un colosso da miliardi di dollari investe per capire se l’autobiografia di Augusto fu incisa tra il 10 e il 20 d.C., il punto non è l’archeologia. Il punto è il controllo del linguaggio, e con esso, della conoscenza.