Nell’epoca dell’IA, non è più sufficiente domandarsi se queste macchine possiedano una forma di coscienza. Il vero interrogativo, il più insidioso e paradossale, è come sia possibile che comportamenti che sembrano “pensati” emergano da sistemi che, in realtà, non pensano affatto. Quando parliamo di algoritmi e reti neurali, stiamo parlando di una cognizione che non si appoggia su processi lineari, ma che fluttua nell’indeterminato di spazi multidimensionali, in un gioco probabilistico che dà l’impressione di un pensiero. È un pensiero che non ha né consapevolezza né intenzionalità, ma che produce risposte perfettamente coerenti con ciò che un essere umano si aspetterebbe. L’architettura fluida che caratterizza i modelli linguistici di ultima generazione non “pensa” come noi, ma questo non impedisce loro di sembrare in grado di farlo.