Nell’era dello streaming, dove ogni ascolto si traduce in centesimi di dollaro per gli artisti, un problema apparentemente banale sta causando un’emorragia economica di proporzioni gigantesche: la cattiva gestione dei metadata musicali. Un semplice errore di formattazione può trasformare il titolo di una canzone in un valore numerico, un codice temporale o, peggio ancora, in un’identità completamente sbagliata.

Esempi clamorosi? “4:44” di Jay-Z o “7/11” di Beyoncé, che possono essere erroneamente convertiti in formati decimali o date, creando confusione nei database delle piattaforme di streaming. Il risultato è devastante: brani e interi album vengono attribuiti ad artisti sbagliati, con royalties che finiscono nelle tasche sbagliate o, ancora peggio, non vengono pagate affatto.

Secondo alcune stime, tra il 2016 e il 2018 circa 2,5 miliardi di dollari di royalties sono rimasti non assegnati solo negli Stati Uniti a causa di questi errori nei metadata. Un problema che colpisce in particolare gli artisti indipendenti, che non hanno la forza contrattuale per reclamare ciò che spetta loro.