Nel 1966, un professore del MIT di nome Joseph Weizenbaum scriveva la prima pagina di un’era nuova, creando quello che sarebbe diventato il primo chatbot della storia. Lo chiamò Eliza, un omaggio ironico a Eliza Doolittle, la fioraia cockney che nella commedia di George Bernard Shaw simulava il mondo aristocratico con parole che le permettevano di apparire ciò che non era. Allo stesso modo, Eliza simulava comprensione, empatia, attenzione psicologica. Il software non capiva nulla, ovviamente, ma riusciva a restituire l’illusione che un essere umano stesse dall’altra parte della macchina.