L’ossessione per l’efficienza ha prodotto un’IA elegante come un grattacielo di vetro, ma altrettanto sterile. La promessa di sistemi capaci di “capire” il mondo si è trasformata in una catena di montaggio di output ben formattati, metriche ingannevolmente rassicuranti e una prevedibilità soffocante. L’intelligenza artificiale interpretativa non è un vezzo accademico: è un vaccino contro l’omologazione cognitiva che oggi minaccia di ridurre la complessità umana a un algoritmo di completamento testuale. Il paradosso è che mentre i modelli diventano più grandi e veloci, il loro universo concettuale si restringe. Ci raccontano il mondo in un’unica lingua, con un solo accento, su un’unica scala di valori. È come se il pianeta fosse stato ridotto a una cartolina in bianco e nero.