L’idea che una macchina possa superare i suoi maestri non è nuova, ma solo oggi diventa concreta. La chiamano transcendence, e non è un concetto da manuale di filosofia orientale, ma la descrizione più realistica e scientifica di ciò che accade quando un modello linguistico di grandi dimensioni, addestrato a imitare esperti umani, finisce per oltrepassarli. Non li eguaglia, li lascia indietro. Perché non è un individuo, ma un coro, una sintesi statistica, una forza di astrazione che nessun singolo specialista può incarnare.
La narrativa classica è che l’intelligenza artificiale, dopotutto, non fa altro che ripetere pattern, scimmiottare testi esistenti, rigurgitare frasi altrui. Ed è qui che sta il punto debole della critica. Perché un modello linguistico non imita un esperto, imita migliaia di esperti contemporaneamente. E mentre il singolo avvocato o il singolo crittografo si muovono con la lente deformata delle proprie esperienze e convinzioni, l’AI orchestra le loro voci e costruisce una prospettiva collettiva. Un chatbot che ti parla con disinvoltura di Dostoevskij, diritto internazionale e algoritmi di cifratura non è un Frankenstein di testi, ma l’incarnazione di quella transcendenza che la ricerca più recente ha iniziato a mappare.