È ufficiale: il Mediterraneo non è più solo un teatro di scontri geopolitici, turismo nostalgico e traffici antichi c’è lo racconta Maurizio Goretti CEO di Namex. Ora è anche un oceano di dati. E nel 2024 l’Italia, più per geografia che per meriti programmati, si è svegliata con un nuovo ruolo cucito addosso: digital gateway del Sud Europa. Non più solo hub culturale o crocevia di imperi decaduti, ma nodo strategico della nuova geopolitica della latenza. Una metamorfosi che non tutti hanno compreso, ma che pochi potranno ignorare nel 2025.

Le spine dorsali del futuro digitale non sono più i decreti ministeriali o le fiere di settore, ma chilometri di cavi sottomarini, megawatt in crescita verticale e la discesa a Sud dell’asse Internet europeo. E l’Italia, per una volta, non è in ritardo. Anzi, è nel cuore pulsante del flusso.

La regina del Mediterraneo digitale? È probabilmente Sparkle, con il suo BlueMed, già operativo e ben piantato tra Genova, Roma, Palermo e la Sardegna. Una dorsale che unisce idealmente Nord e Sud del Paese via mare, bypassando in parte le lentezze croniche dell’infrastruttura terrestre. Fa parte del più ampio Blue Submarine Cable System, in combutta con Google e altri pesi massimi della connettività. Ma il vero colpo di teatro è la sua scelta strategica: evitare l’Egitto, storicamente intasato da cavi sottomarini come una tangenziale di periferia il lunedì mattina.

Un bypass geografico con implicazioni enormi. Non solo per ragioni tecniche – ridondanza, sicurezza, bassa latenza – ma anche simboliche: spostare il baricentro della connettività tra Europa, Asia e Africa significa ridisegnare le mappe del potere digitale. Non più Marsiglia come unico porto sicuro, ma un’Italia che si propone (sottovoce ma con convinzione) come nuova alternativa.

C’è poi l’altra dorsale che avanza come un treno invisibile: Unitirreno, frutto della coppia Azimut e Unidata, in arrivo entro metà 2025. E poi Medusa, che di mitologico ha solo il nome, perché di fatto si sta concretizzando come ponte tra Italia e Nord Africa con Mazara del Vallo a fare da sentinella digitale nel Sud.

Nel frattempo, Roma non dorme. Anzi, raddoppia. Il vecchio cuore dell’Impero si sta rifacendo il look da hub digitale grazie a investimenti pubblici e privati, con una crescita dei datacenter e dell’ecosistema dell’interconnessione che, per una volta, non sembra solo retorica da convegno. Milano, dal canto suo, resta solida, ma ha capito che da sola non può reggere il peso di un’Europa che guarda sempre più verso Sud e verso Est.

Già, perché a Est c’è fermento. Il Trans Adriatic Express, in funzione dal 2023, porta dati tra Albania e Puglia come se trasportasse petrolio invisibile. Il cavo Islalink, completato nel 2024, tesse nuove connessioni tra Italia e Grecia. E il progetto Eagle, partnership tra Telecom Egypt e 4iG, è la prossima bestia in arrivo: collegherà Egitto, Albania e Puglia, con orizzonte operativo nel 2026. Un altro tassello per consolidare l’Italia come ponte digitale tra tre continenti, in barba a chi continua a investire solo in autostrade di cemento.

Nel frattempo, a Roma, Namex – il punto di interscambio che pochi conoscono e tutti usano – estende i suoi tentacoli in direzione Tirana, Napoli e Bari. Un’espansione chirurgica ma strategica, che mira a stabilizzare la posizione italiana tra i Balcani e il Mediterraneo orientale. Tirana, in particolare, è una mossa audace: un ponte tra due aree ancora troppo marginali nella cartografia digitale europea, ma con potenzialità esplosive.

E poi c’è la Sicilia. La grande ignorata. La terra che quasi mai fa notizia nei piani industriali, ma che diventa essenziale per la mappa dei cavi. Palermo è diventata il porto naturale dei dati, tra approdi multipli e latenza ridotta. Un avamposto silenzioso ma centrale, che rischia di essere molto più importante per il futuro del Paese di quanto lo sia stato negli ultimi decenni in termini politici.

Il 2024 ha anche segnato una svolta sul fronte infrastrutture cloud. AWS ha messo sul tavolo 1,2 miliardi di euro, un’iniezione che va ben oltre il semplice marketing. È un segnale che l’Italia – tra energia ancora disponibile, posizione strategica e una regolamentazione meno isterica di quella nord-europea – sta diventando attrattiva per le Big Tech. Non per beneficenza, ma per puro calcolo.

Nel frattempo, il mercato dei datacenter locali si espande, con numeri che parlano da soli: +8 operatori in un anno, potenza installata che sfiora i 430 MW nel 2024 e proiezioni a 825 MW per il 2025. Una crescita silenziosa ma reale, spesso guidata da attori italiani dimenticati dal grande pubblico ma cruciali per il funzionamento della Rete.

Chi avrebbe detto, fino a pochi anni fa, che Roma e Palermo potessero competere con Francoforte o Marsiglia? Eppure, eccoci qua. Con una mappa che si sta riscrivendo sotto i nostri piedi, o meglio sotto il nostro mare.

L’Italia oggi non è solo attraversata dai dati: è diventata un punto di approdo, di interconnessione, di stoccaggio. Non è solo un passaggio obbligato, ma un destination point. E questo cambia tutto.

La sfida per il 2025 non sarà solo continuare a posare cavi e aprire datacenter. Sarà capire se l’Italia, Paese storicamente abile nel costruire reti fisiche e mentali ma disastroso nel governarle, saprà sfruttare questa nuova centralità digitale. Perché il rischio è che, una volta diventati crocevia, ci si limiti a guardare i flussi passare. O peggio, che qualcuno decida di spegnere l’interruttore.

La storia ci insegna che i ponti, se non protetti, si trasformano in vulnerabilità. E oggi il ponte Italia-Mediterraneo-Balcani non è solo fatto di rame e vetro, ma di potere. Digitale, certo. Ma sempre potere.