Barack Obama, uno che sa ancora parlare come un Presidente e non come un algoritmo PR di Wall Street, ha sganciato la bomba durante un’intervista al Hamilton College. Nessuna diplomazia da manuale: “Un sacco di lavori spariranno”. Testuali parole. Ma non è solo un’espressione di preoccupazione post-presidenziale. È un monito reale, puntuale, persino disperato. L’Intelligenza Artificiale e non quella dei meme su ChatGPT che risponde educatamente ma quella che già sta fagocitando ruoli interi in aziende globali, è sul punto di mandare a casa milioni di persone. E non ci sarà cassa integrazione che tenga.

Non stiamo parlando del solito turnover tecnologico, dove un contabile si trasforma in data analyst. Qui parliamo della sostituzione sistemica, algoritmica, automatica, inesorabile. Un tempo si diceva che “i robot prenderanno i lavori ripetitivi”. Ora prendono quelli ben pagati, complessi e creativi. Marketing, programmazione, consulenza legale, persino giornalismo. Ti suona familiare?

Obama ha fatto centro nel cuore della questione: cosa succede quando non si tratta più di aggiornare le competenze, ma di ridefinire il concetto stesso di lavoro? Come si redistribuisce la ricchezza in un’economia dove il valore viene generato da macchine allenate su dati umani, ma possedute da multinazionali con sede fiscale alle Isole Cayman?

Ma la vera domanda, quella che solo un politico-filosofo come Obama può permettersi di porre, è ancora più disturbante: che senso ha la nostra vita quando le macchine lavorano al posto nostro? E no, non basta rispondere “più tempo per l’arte e la famiglia”. È una bugia rassicurante da manuale HR. La verità è che gran parte dell’identità umana nel mondo post-industriale si costruisce attorno al lavoro. Toglierlo significa scardinare il pilastro esistenziale di milioni di persone.

Il suo appello ai governi è chiaro, ma sarà ignorato come tutti gli avvertimenti intelligenti lanciati in anticipo. Politici che ancora discutono su come tassare Uber non possono certo progettare una politica fiscale basata su una futura economia post-lavoro. Mancano gli strumenti, la visione e, diciamolo, il coraggio. O forse preferiscono aspettare la rivolta, così almeno avranno una scusa per invocare lo stato d’emergenza.

Intanto l’economia globale è seduta sopra un vulcano. I primi segnali ci sono già: fusioni aziendali in chiave AI-first, licenziamenti silenziosi mascherati da “riorganizzazione strategica”, startup unicorn che nascono con dieci dipendenti e scalano milioni in fatturato grazie a modelli generativi. E ogni giorno, nuovi modelli linguistici spazzano via interi team creativi, customer service, legali junior e project manager con una rapidità che neanche le delocalizzazioni degli anni Novanta.

Obama ci dice che siamo in una finestra temporale minuscola, un attimo di lucidità prima che il treno deragli del tutto. Possiamo ancora scegliere se attrezzarci con una nuova infrastruttura sociale o precipitare in un darwinismo digitale dove il valore dell’uomo sarà misurato dal prompt che riesce a scrivere meglio.

Ma ecco la verità nuda e cruda, quella che nessuno vuole dire ad alta voce: se non agiamo ora, finiremo col reinventare la povertà in formato 5G.

Se ti interessa, l’intervista completa è riportata su YOUTUBE. Ma ti avverto: non è una lettura tranquilla da domenica mattina. È una sirena d’allarme in loop.

Benvenuti nel futuro. Spoiler: non serve aggiornare il CV. Serve ripensare l’intero sistema.