C’è un odore inconfondibile che precede il crollo in Borsa. Non è il sudore della paura, né l’acre aroma del panico generalizzato. L’invisibile profumo del privilegio informato, quello che solo chi siede nei piani alti riesce a sentire con giorni, se non settimane, d’anticipo. L’ultimo esempio?

La valanga di vendite azionarie effettuate da alcuni top executive proprio alla vigilia dell’annuncio dei dazi USA voluti da Donald Trump. Vendite che, guarda caso, hanno evitato perdite milionarie. Bloomberg, come un segugio da dati, ha ricostruito passo dopo passo chi si è mosso e quando.Partiamo dalla finestra temporale, quel lasso di tempo sospetto in cui diversi big hanno deciso di vendere quote significative delle proprie aziende, giusto prima che Wall Street si sgonfiasse come un pallone bucato.

Non serve un PhD in finanza comportamentale per capire che le coincidenze, in finanza, sono spesso sovrastimate. Mentre Trump si preparava ad annunciare l’ennesima bordata commerciale contro la Cina, qualcuno sapeva già che il mercato avrebbe tremato. Qualcuno ha venduto.

Tra i protagonisti, Mark Zuckerberg si è liberato di una bella fetta di azioni Meta, nel silenzio più assoluto, proprio prima che il titolo iniziasse a perdere quota. Un caso? Forse. Ma considerando la precisione del timing, difficile credere nel destino cieco. Stesso copione per Safra Catz, CEO di Oracle, che ha liquidato milioni in stock poco prima della tempesta. Se la chiamano “esecuzione perfetta”, c’è un motivo.

Nikesh Arora, il boss di Palo Alto Networks ed ex numero due di SoftBank, non è rimasto a guardare. Anche lui ha colto l’attimo, svuotando parte del portafoglio mentre gli analisti cominciavano appena a sentire odore di bruciato.

Per Jamie Dimon, il CEO di JPMorgan, non si può parlare di scelte casuali: ha venduto oltre 150 milioni di dollari in azioni, segnando il più grande scarico personale mai registrato da quando guida la banca. Roba da far impallidire anche il più disinvolto degli hedge fund manager.

Poi c’è Trump, con la sua solita teatralità da televendita, che lancia la frase “questo è un ottimo momento per comprare”, poco dopo che il mercato è stato affondato da un annuncio fatto da lui stesso.

Non è solo cinismo, è un gioco di specchi. Lui parla, i mercati ballano, e chi sa leggere la musica prima degli altri, si salva e incassa.

Qui il punto non è solo l’eventuale insider trading, che sarà anche difficile da dimostrare se non impossibile. Il problema è la sistematicità del pattern: i CEO vendono, i mercati crollano, i piccoli investitori perdono. Sempre.

Se la SEC è il cane da guardia, allora dorme con la coperta tirata sugli occhi. Quando le regole del gioco le conoscono solo alcuni e gli altri devono giocare alla cieca, il libero mercato diventa un farsa. Ma non aspettarti uno scandalo. Negli Stati Uniti la linea tra informazione e manipolazione è sottile come una clausola legale in un prospetto azionario.

Finché i miliardari avranno fiuto per le tempeste, continueranno a vendere un minuto prima che gli altri si accorgano che sta piovendo.