La Commissione Europea ha finalmente deciso di abbandonare la diplomazia e prendere il bastone. Mercoledì ha multato Apple per 500 milioni di euro e Meta per altri 200 milioni, invocando il Digital Markets Act (DMA) come arma di regolamentazione. Per chi non lo sapesse, il DMA è la nuova stella polare dell’Europa nella lotta per arginare lo strapotere delle Big Tech. E questo è il primo schiaffo ufficiale.

Apple è finita nel mirino per le sue famigerate regole sull’App Store, quelle che da anni impongono vincoli draconiani agli sviluppatori, impedendo loro di promuovere canali alternativi per acquisti o abbonamenti. In altre parole, un sistema chiuso stile Las Vegas: quello che succede nell’App Store resta nell’App Store… e ovviamente paga la decima ad Apple. Il DMA, invece, pretende apertura, trasparenza e una concorrenza reale. L’Unione Europea, stanca di essere l’idiota del villaggio globale mentre Cupertino incassa, ha detto basta.

Meta, dal canto suo, è stata colpita per il suo modello pubblicitario “pay or consent”, ovvero: o paghi per non vedere pubblicità o accetti di essere profilato come una cavietta da laboratorio per alimentare la macchina pubblicitaria. Una scelta che è tutto tranne che libera, visto che si fonda sulla pressione psicologica e sulla mancanza di alternative. La Commissione ha definito questo approccio coercitivo e lesivo dei diritti fondamentali degli utenti. Altro giro, altra multa.

La parte più interessante, però, non sono le multe in sé. Apple e Meta, con le loro riserve di cassa galattiche, possono permettersi di pagare queste cifre come un cittadino medio paga il parcheggio in seconda fila. Ma la vera ferita è che ora hanno 60 giorni per cambiare modello. Tradotto: o rivoluzionano l’architettura dei loro sistemi in Europa, o scatteranno nuove sanzioni, più severe e più rapide. E no, stavolta non potranno cavarsela con qualche aggiornamento cosmetico o con una pagina di FAQ che nessuno leggerà.

La mossa della Commissione è anche un messaggio a Google, Amazon e gli altri: il tempo delle scappatoie legali e delle lobby silenziose è finito. Il regolamento è diventato azione, e l’Europa non ha più paura di giocare la parte del regolatore. Anzi, sembra aver finalmente capito che il suo potere non sta solo nei documenti PDF, ma nella capacità di mettere in ginocchio colossi che fino a ieri si sentivano intoccabili.

Chi pensa che questa sia solo una guerra tra giganti si sbaglia. Qui si gioca la partita sull’equilibrio tra innovazione e potere, tra libertà digitale e capitalismo algoritmico. La domanda che dobbiamo porci, da cittadini e imprenditori, è: vogliamo un ecosistema in cui le regole del gioco sono scritte dai giocatori, o da chi tutela il campo?