Sarà un giorno di festa nei corridoi di Netflix e Amazon Studios, ma nei sindacati di Hollywood probabilmente oggi volano i bicchieri. L’Academy of Motion Picture Arts and Sciences, con la delicatezza di chi finge di non vedere l’elefante nella stanza ma poi lo invita al gala, ha ufficialmente riconosciuto l’esistenza dell’intelligenza artificiale generativa nelle sue linee guida per l’Oscar. Tradotto: non vieta nulla, non obbliga a dichiarare nulla, ma avverte che il “fattore umano” rimane ancora centrale nel decidere chi stringerà la statuetta dorata.

Sì, hai letto bene. L’AI può essere usata nella produzione di un film, e non sarà un peccato mortale agli occhi dei membri votanti dell’Academy. Ma attenzione: la valutazione finale dipenderà da quanto, nel prodotto finale, si percepisce ancora una mano umana. L’autorialità non deve sparire del tutto. L’algoritmo può scrivere, colorare, animare, ma la scintilla creativa deve avere ancora una faccia, possibilmente sindacalizzata, possibilmente umana.

Questa prima, timida apertura nei confronti dell’intelligenza artificiale arriva a poco più di un anno dai lunghi scioperi di attori e sceneggiatori, che nel 2023 hanno paralizzato l’industria proprio per il timore che un prompt scritto meglio del loro potesse rubargli il lavoro. E adesso? Adesso l’Academy sventola la bandiera bianca, ma scrive in piccolo che “ogni branca giudicherà quanto un umano sia stato al cuore del processo creativo”. Una frase che suona più come un placebo etico che come una norma vera. Un po’ come dire: “Sì, l’hamburger è stampato in 3D, ma l’ha cucinato uno chef in carne e ossa”.

Nel frattempo, come bonus track delle nuove regole, arriva anche una chicca: per votare nella fase finale degli Oscar, i membri devono aver visto tutti i film della categoria. Ma tranquilli, è tutto basato sull’onore. Nessun test, nessun badge, nessun algoritmo di tracciamento. Basta un “giuro, li ho visti” e si passa. Evidentemente la tecnologia può entrare a gamba tesa nella sceneggiatura, ma non osare disturbare l’antico rito della pigrizia accademica.

Il sottotesto di questa riforma? Hollywood ha smesso di negare l’inevitabile: l’AI sarà parte del processo creativo. Non è un mostro da esorcizzare ma un utensile da gestire, proprio come la camera a mano o il green screen, con la differenza che stavolta il tool scrive, dirige e potrebbe anche recitare. La battaglia vera ora si sposta sul confine sottile tra strumento e autore.

Nel frattempo, chi ancora spera in un Oscar per “Miglior sceneggiatura originale scritta da un’intelligenza artificiale che finge di essere umana”… beh, stiamo entrando nel secolo giusto.