Mentre Nvidia sfodera il suo arsenale grafico e AMD prepara la riscossa sul mercato dei semiconduttori automobilistici, Intel il vecchio colosso americano spesso dato per morto nel mondo dell’AI rinasce sotto nuove forme nel posto più strategico di tutti: la Cina. E non lo fa con timidi annunci. Alla Shanghai Auto Show, davanti al palcoscenico dell’automotive elettrico globale, ha svelato il cuore del suo nuovo piano: la seconda generazione del suo System-on-a-Chip (SoC) per software-defined vehicle (SDV), alimentato da AI e pronto a entrare direttamente nel cruscotto delle auto intelligenti.
Ma la vera mossa di potere non è la presentazione del chip. È il tipo di alleanze che Intel ha siglato. Due nomi, apparentemente minori ma carichi di peso strategico: ModelBest, start-up AI fondata nel 2022 da ex cervelli di Tsinghua, e Black Sesame Technologies, designer di chip per veicoli, recentemente quotata a Hong Kong. Intel non sta semplicemente “entrando” nel mercato delle auto smart cinesi, ci si sta trasferendo con armi e bagagli. Non è un caso se ha persino spostato l’headquarter della divisione Automotive direttamente in Cina, e il suo vicepresidente Jack Weast a Pechino. Un “trasloco geopolitico” più che tecnologico.
Con ModelBest, Intel lancia un colpo da maestro: l’integrazione di LLM offline nel cruscotto. Parliamo della stessa tecnologia che alimenta chatbot come ChatGPT, ma qui calata in un contesto on-device, quindi indipendente dalla rete. È un passo enorme per la sicurezza, la latenza e soprattutto per la privacy degli utenti, che non dovranno più condividere i dati vocali con il cloud per farsi capire dalla macchina. L’assistente AI comprenderà i comandi in linguaggio naturale, saprà gestire interazioni complesse, adattarsi ai gesti, alla postura, al tono del guidatore. E il tutto sarà orchestrato da una GUI intelligente, raffinata, integrata nei sensori, dalle telecamere ai microfoni.
Non è più un’interfaccia. È un co-pilota digitale con cui parlare mentre si guida.
E poi c’è Black Sesame, che con i suoi chip Huashan A2000 e Wudang C1200 lavora a stretto contatto con Intel per unificare la piattaforma di calcolo centrale. Qui si punta all’integrazione totale: guida autonoma, assistenza avanzata, cockpit immersivo, connessione fluida e latenza ridotta al minimo. Una sola architettura che può scalare dai sistemi di guida assistita di livello 2 fino alla piena autonomia di livello 4. In pratica: un cervello elettronico modulare, adattabile a ogni modello, ogni fascia, ogni brand.
Il segnale è chiaro: Intel vuole essere il sistema operativo dell’auto intelligente cinese, e lo vuole essere con standard che possano adattarsi a ogni produttore. Per questo parla di piattaforma integrata, capace di unire tutta l’esperienza digitale del veicolo in un solo punto di controllo, senza bisogno di soluzioni spezzettate.
Tutto questo non accade nel vuoto. Secondo Xiangcai Securities, oltre il 75% delle nuove auto vendute in Cina nel 2025 avranno sistemi smart, contro una media globale del 59%. La concorrenza è feroce, con nomi del calibro di Alibaba, Tencent, Baidu e Huawei già coinvolti fino al collo nello sviluppo dei cockpit intelligenti. E non è un caso che Intel scelga proprio ora di svelare il suo arsenale: la guerra dei cervelli digitali in auto è ufficialmente iniziata.
Non si tratta più di mettere un chip nel cofano. Si tratta di reinventare il concetto stesso di guidatore. E Intel – ironia della sorte – potrebbe farlo proprio grazie ai cinesi.
Vuoi la vera chicca? Il LLM in auto non avrà bisogno di 5G, né di Elon Musk. E questo, per Intel, è già un piccolo miracolo capitalistico.
Intel affonda dopo il cambio al vertice: il nuovo CEO taglia, licenzia e prova a spegnere gli incendi lasciati da Gelsinger
Intel ha chiuso in picchiata del 7% nel trading after-hours dopo che il nuovo CEO Lip-Bu Tan, insediato a marzo ed ex membro del board, ha recitato un copione già visto: profitti in calo, previsioni ancora peggiori e una sfilza di promesse che suonano come un déjà-vu per gli investitori bruciati dalle strategie fallimentari dell’ex CEO Pat Gelsinger, defenestrato a dicembre.
Durante la earnings call, Tan non ha cercato di indorare la pillola: i prossimi mesi saranno duri, la macroeconomia non aiuta, e Intel prevede un calo sia del fatturato sia dei margini lordi. Tradotto: si continuerà a bruciare margine su scala industriale, mentre si tenta di evitare che l’azienda affondi come un sasso nel Mar dei Chip.
Tan, che non è uno sprovveduto e arriva da Cadence Design Systems, ha subito gettato sul tavolo la carta del “reset culturale”. Nella sua lettera agli azionisti, ha presentato un piano chirurgico e insieme disperato per riportare Intel a respirare dopo anni di apnea. Si parte dai licenziamenti, previsti già per questo trimestre, e si arriva a una riforma organizzativa che sembra più uno sfogo da LinkedIn: meno meeting, meno gente nei meeting, più ingegneri con potere decisionale. Il mantra è “smettiamo di sprecare tempo”. Sottinteso: smettiamo di pagare dirigenti per non decidere niente in tre ore di call su Teams.
Ma il problema non è solo di governance. È che Intel, un tempo totemico dominatore del settore semiconduttori, oggi è in difficoltà strutturale, con un core business che arranca tra concorrenza spietata (leggasi AMD e TSMC) e l’impossibilità di centrare promesse su roadmap tecnologiche sempre più irrealistiche. I numeri del trimestre parlano chiaro: 12,67 miliardi di dollari di ricavi, invariati rispetto all’anno scorso, ma con margine lordo sceso dal 41% al 36,9%. E la forward guidance è peggio: tra 11,2 e 12,4 miliardi di ricavi e un misero 34,3% di margine. Roba che un tempo sarebbe sembrata roba da startup zombie, non da colosso storico del Nasdaq.
Tan dovrà muoversi come un equilibrista su filo sottile: da un lato ristrutturare senza disintegrare, dall’altro recuperare una competitività che pare evaporata in un decennio di slide PowerPoint. Con un occhio a Washington, dove Intel spera ancora che la legge CHIPS non si traduca in un’altra montagna di sussidi per aziende che poi licenziano comunque. E con l’altro a Wall Street, dove la pazienza degli investitori si è consumata da tempo.
Nel frattempo, i mercati hanno già emesso il loro verdetto: -7% dopo la conference call, come a dire “parole, parole, parole”. Ora tocca a Tan dimostrare di non essere solo l’ennesimo amministratore delegato con una bella narrativa e una ghigliottina pronta sul personale, ma qualcuno capace di trasformare Intel da nave alla deriva a macchina da guerra. Il tempo, e il prossimo trimestre, parleranno. E forse urleranno.