Il venture capital americano torna a flirtare con la Cina, ma stavolta non si tratta di robot con occhi a mandorla che fanno Tai Chi nei centri commerciali di Shenzhen. Benchmark, il VC che ha avuto il colpo di reni con Uber e Snap prima che diventassero colossi nevrotici da borsa, ha guidato un round di investimento nella startup cinese Butterfly Effect, che nel nome già promette una quantità di caos proporzionale all’entusiasmo suscitato online da Manus, il suo agente AI virale.
La cifra che ha fatto girare la testa ai capitalisti di ventura? Una valutazione di circa 500 milioni di dollari. E non parliamo di una AI che ti racconta fiabe della buonanotte. Manus naviga, clicca, legge, prenota, analizza e probabilmente ha anche un’opinione sulla politica monetaria della Fed. Un assistente che agisce come un umano, ma senza fare pause caffè, e con una velocità che fa sembrare il multitasking umano una scusa corporativa per l’inefficienza.
Dietro questa operazione, come spesso accade, c’è il rumore. Quello creato dal debutto virale dell’agente AI lo scorso marzo. Appena lanciato in beta, Manus ha fatto il giro degli account X (ex Twitter) e Slack delle aziende tech, finendo rapidamente sotto il radar di chi mastica innovazione e ha il portafogli sempre pronto. In una Silicon Valley che sta iniziando a guardare con meno diffidenza e più fame i prodotti AI Made in China, dopo il boom di DeepSeek, Manus è arrivato come una conferma che sì, Pechino sa ancora come spaventare e sedurre allo stesso tempo.
Ma attenzione, l’ambizione non si ferma agli States. La startup starebbe già preparando l’apertura di un ufficio a Tokyo, il primo fuori dalla Cina. Un segnale chiaro: si punta a un’espansione globale, con una mossa che mette pressione sia ai player americani che agli europei ancora impegnati a scrivere regolamenti sull’AI mentre il resto del mondo costruisce il futuro.
Il paradosso è evidente e quasi divertente: mentre l’Occidente si dibatte tra etica, copyright e paura del disastro algoritmico, Benchmark mette la bandierina in Cina, abbracciando un agente AI che prende decisioni, agisce, crea valore e magari un po’ di panico. Il fatto che sia un investimento americano in un prodotto cinese destinato al mercato americano chiude il cerchio con quella perfezione capitalista che solo la tecnologia sa garantire.
Se vi sembra tutto folle, date un’occhiata alla notizia di Bloomberg e cercate di non sentirvi obsoleti. L’equilibrio geopolitico dell’intelligenza artificiale si sta riscrivendo, e come al solito, lo fanno i soldi, non i paper accademici.