Nel silenzio assordante della Big Tech che gioca a Risiko con i dati personali, Meta torna sul campo da gioco con una mossa tanto prevedibile quanto chirurgicamente strategica: il lancio ufficiale di Meta AI, il suo assistente virtuale basato su Llama, l’ormai celebre modello linguistico proprietario. E lo fa con un piglio che tradisce un’ambizione chiara: sfidare apertamente ChatGPT, ovvero il poster boy della rivoluzione AI targata OpenAI.

Dietro al solito comunicato stampa zuccheroso, infarcito di parole come esperienza sociale, personalizzazione, riflesso del mondo reale, si cela l’ennesimo tentativo di Meta di piantare la sua bandierina nel Far West dell’intelligenza artificiale generativa.

Perché se c’è un mercato che non si può lasciare scoperto, oggi, è proprio quello degli assistenti virtuali embedded ovunque: nel telefono, nei social, negli occhiali, nei pensieri.E qui entra in scena il cavallo di Troia californiano: i Ray-Ban Meta Smart Glasses, quegli occhiali da sole che fingono di essere fashion tech ma che di fatto sono sensori ambulanti, ora integrati con Meta AI. Per chi li indossa, non sarà più necessario tirare fuori lo smartphone per interagire con l’assistente: basterà parlare, ascoltare, lasciare che il device impari da ogni parola pronunciata. Una nuova normalità da Black Mirror, ma con lo stile di un influencer da Venice Beach.

L’app sarà disponibile anche in Italia, scaricabile gratuitamente da App Store e Google Play, rinnovando l’attuale Meta View in un’interfaccia apparentemente più pulita e user-centric. Nuova homepage, gestione dei dispositivi, cronologia, notifiche. Tutto ordinato, tutto tracciato. Ma attenzione: la chat avanzata con Meta AI non sarà subito disponibile nel Belpaese, una limitazione momentanea o un esperimento A/B travestito da rollout graduale?

La parte davvero interessante, però, è quella che riguarda il nuovo feed Suggeriti. Non si tratta solo di una vetrina dei prompt più creativi, ma di un passo decisivo verso la socializzazione dell’intelligenza artificiale. Gli utenti, a quanto pare, potranno remixare i prompt altrui, creando un ecosistema creativo in stile TikTok, ma fatto di comandi testuali per dialogare con un’intelligenza simulata. Se pensavate che l’influencer marketing fosse tossico, aspettate di vedere il mercato dei prompt virali e degli “AI whisperer”.

In più, Meta promette una funzione vocale ottimizzata per conversazioni continue. Una dichiarazione di guerra alla latenza, all’interazione a comando, all’interruzione. Zuckerberg punta al flusso naturale, alla chiacchierata perenne, all’amico artificiale che non si stanca mai. Sempre pronto, sempre lì. Sempre connesso.

Nel gioco del trono dell’AI, ogni player si costruisce la propria narrazione. OpenAI si veste da paladino etico della conoscenza, Google da esploratore enciclopedico, Microsoft da integratore sistemico, mentre Meta gioca la carta dell’empatia simulata, del compagno virtuale immerso nella nostra vita social-first.Una mossa interessante, pericolosa, ma perfettamente coerente.

Meta non ha mai voluto solo “piacere” agli utenti, ha sempre voluto sapere tutto di loro. Ora vuole anche rispondere al posto loro. E se Meta AI dovesse davvero diventare il nuovo standard conversazionale del metaverso, l’obiettivo sarà raggiunto: rendere l’intelligenza artificiale indistinguibile dalla realtà condivisa.

La guerra dei cloni digitali è appena cominciata, e a questo giro, l’assistente vocale è il cavallo da battaglia.