Quando si parla di conclave, la parola d’ordine è una sola: imprevedibilità. Altro che algoritmi, analisi geopolitiche o scommesse digitali. Dentro la Cappella Sistina valgono altre leggi, fatte di alleanze improvvise, di “soffi” misteriosi e, soprattutto, di un bisogno disperato di trovare il compromesso giusto. Perché, diciamolo senza ipocrisie clericali, raramente il Papa eletto è il primo nome scritto sulla lista di chi comanda. Più spesso, è quello che mette d’accordo chi si odia di meno.
Ecco perché, accanto ai favoriti Tagle e Parolin, si sta facendo strada una serie di outsider che, secondo diversi analisti e voci di sacrestia, potrebbero emergere come sorpresa di questo Conclave del 2025.
Il primo nome forte che aleggia tra le mure vaticane è quello di Cardinale Péter Erdő, ungherese, arcivescovo di Esztergom-Budapest. Uomo di profonda dottrina, conservatore, ma con una reputazione da “moderato” che potrebbe piacere a chi cerca stabilità senza rivoluzioni. Erdő ha già avuto una certa visibilità durante i sinodi precedenti e, soprattutto, incarna quel “vecchio continente” che molti cardinali non sono ancora pronti ad abbandonare del tutto. Non entusiasma, certo, ma in un’elezione fatta per eliminazione più che per acclamazione, potrebbe risultare perfetto.
Altro outsider pesante è Cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna. Moderno, progressista, molto vicino alle istanze sociali (e non a caso soprannominato “il Papa di strada”), Zuppi piace sia a chi ha amato Francesco sia a chi vuole una transizione morbida senza scossoni dottrinali. Il suo problema? Forse è troppo vicino all’agenda di Francesco per piacere ai cardinali più tradizionalisti, quelli che mal sopportano certi “strappi” sulla morale e sulla gestione interna della Curia.
Cardinale Peter Turkson è un’altra opzione sulla bocca di molti, soprattutto quando si parla di globalizzazione della Chiesa. Ghanese, ex Prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, Turkson rappresenterebbe un clamoroso primo Papa africano dopo secoli. Ma, come spesso accade, il suo nome viene usato più come segnale politico che come reale opzione vincente: i conclavi sono meno audaci di quanto il mondo voglia credere.
Infine, non possiamo ignorare la possibilità che emerga un “papa di compromesso” tra candidati meno mediatici ma molto rispettati, come il canadese Cardinale Marc Ouellet o il brasiliano Cardinale Odilo Scherer. Due figure che, pur senza entusiasmare le masse, potrebbero incarnare una perfetta sintesi di prudenza, dottrina e rappresentanza globale.
La verità è che il conclave, più che una votazione, è una partita di poker in cui nessuno mostra le carte fino all’ultimo, e in cui l’elemento umano – passioni, vendette, ambizioni e persino simpatie personali – pesa infinitamente più di qualsiasi analisi esterna. La morte di Papa Francesco ha lasciato la Chiesa a un bivio storico: continuare sulla strada della globalizzazione progressista o tentare una restaurazione controllata del vecchio ordine europeo.
E proprio in questo spazio di incertezza possono emergere gli outsider. Sono figure “accettabili” da più fazioni, non troppo divisive, capaci di raccogliere un consenso sufficiente senza spaccare l’assemblea. Esattamente il tipo di candidati che, storicamente, vince davvero nei conclavi.
Se davvero si verificherà uno scenario da manuale — e cioè i front-runner si elimineranno a vicenda a forza di votazioni senza risultato — allora saranno i nomi meno appariscenti, meno discussi e meno “scontati” a salire alla ribalta. Come sempre, in Vaticano, a vincere sarà chi saprà aspettare, sussurrare e, soprattutto, non sembrare mai troppo desideroso di vincere.
