Nel grande zoo darwiniano della Silicon Valley, dove l’età media dei CEO sta diventando inversamente proporzionale alla capitalizzazione aziendale, la storia di Zach Yadegari è l’ennesima prova che l’università è, per alcuni, un ostacolo più che un trampolino. Mentre la Ivy League gli sbatteva le porte in faccia, lui apriva le app store con Cal AI, un’applicazione di fitness e nutrizione basata sull’intelligenza artificiale che oggi, a soli 18 anni, gli frutta proiezioni da 30 milioni di dollari all’anno. Tutto questo mentre frequenta l’ultimo anno di liceo.

Lanciata nel 2023 e già scaricata più di cinque milioni di volte su iOS e Android,

fa quello che tante app promettono ma poche realizzano davvero: eliminare la frizione tra intenzione e azione. Basta una foto del piatto e il sistema, alimentato da modelli di visione computazionale, sputa fuori calorie, proteine, carboidrati, grassi e persino una sorta di “indice di bontà” chiamato Health Score. In pratica, è come avere un dietologo sul comodino, un personal trainer in tasca e un fratello minore rompiscatole che ti ricorda che stai mangiando troppi muffin.

Ma la vera novità non è l’AI oggi è ovunque, dai termostati ai sex toys — bensì la capacità di integrarla in una UX semplice, economicamente accessibile (30 dollari l’anno) e, soprattutto, virale. Perché, alla fine, il valore percepito non è nell’algoritmo, ma nella community che lo adotta. E qui, Yadegari ha colpito nel segno.

La sua storia personale sembra uscita da un pitch perfetto per Y Combinator: imparato a programmare su YouTube a 7 anni, venduto la prima startup a 16 una piattaforma chiamata “Totally Science” che permetteva agli studenti di giocare online bypassando i firewall scolastici (il nome suona come una trollata geniale, e infatti lo era). La exit? Centomila dollari, mica male per un progetto nato probabilmente durante un’ora di matematica.

E poi arriva il rifiuto delle università, nonostante un GPA perfetto e un ACT da urlo. Un errore sistemico? Una vendetta dell’establishment? O forse solo un algoritmo di ammissione troppo stupido per riconoscere un talento che sa monetizzare prima ancora di laurearsi in economia. “Coltivare una comunità” è stata la sua risposta. “Lo farò altrove.” Cioè nel mondo reale, quello che paga in contanti e non in crediti formativi.

Il mercato, dal canto suo, lo ha premiato. Cal AI è solo una delle tante app che stanno trasformando la gestione del benessere fisico con l’intelligenza artificiale, insieme a SnapCalorie, Dr. Cal, Calorie Deficit Tracker e altre ancora. Ma, come spesso accade, il primo che riesce a imporsi con massa critica, semplicità d’uso e pricing intelligente si prende tutto. Gli altri rincorrono.

Certo, modelli generalisti come ChatGPT o Gemini possono suggerire di mangiare più broccoli o fare squat, ma non hanno ancora la memoria o la personalizzazione necessarie per competere sul lungo periodo con un’app dedicata e persistente. È la vecchia regola della UX: se mi fa risparmiare tempo, vince. Se mi fa sentire parte di qualcosa, domina.

E qui entra in gioco la narrativa di Yadegari, che non è solo tecnica, ma profondamente umana: autodidatta, idealista, sfrontato, eppure con una vena sorprendentemente filosofica. “Siamo tutti individui, ma parte di qualcosa di più grande”, ha scritto. Forse una frase da discorso di laurea. O da homepage di una futura IPO.

Nel frattempo, mentre i docenti di ammissione si grattano la testa e gli investitori si leccano le dita, il ragazzo di Long Island con la start-up da 30 milioni ha già dimostrato che la vera selezione naturale non avviene nei corridoi universitari, ma sugli store digitali. E che la nuova Ivy League si chiama App Store.

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