Pharus Diagnostics è il tipo di startup che sembra uscita da un pitch deck da fantascienza: taiwanese, guidata da un CEO con i piedi ben piantati nel fundraising, benedetta dalla cassaforte di Li Ka-shing e dal radar d’oro dell’AI applicata alla medicina. Non sorprende che abbia scelto Hong Kong come hub per la prossima iniezione di capitali, puntando a chiudere un round entro la fine dell’anno con già metà dei fondi promessi in tasca e uno studio clinico sul cancro ai polmoni pronto a partire.
Hong Kong, va detto, è diventata l’incrocio obbligato per chi vuole innovare in Asia senza farsi stritolare dalla burocrazia continentale o dal clima venture ancora troppo conservatore di Tokyo o Singapore. “Una grande piazza per i test innovativi”, dice Philip Huang, CEO di Pharus, che evidentemente sa leggere i segnali di mercato e gioca d’anticipo su una Cina che resta, nonostante tutto, l’Eldorado del biotech, se si riesce a entrare con la chiave giusta.
Ma non è solo la Cina l’obiettivo: la vera partita si gioca nel segmento della diagnosi precoce, dove l’intelligenza artificiale ha smesso di essere una buzzword per diventare uno strumento clinico concreto. Pharus sta lavorando anche a un test per il tumore al pancreas — uno dei killer più silenziosi e letali — usando biomarcatori microRNA concessi in licenza da City of Hope, istituto oncologico di riferimento negli Stati Uniti. Questo è il punto che interessa ai veri investitori: il tempo. Diagnosticare prima significa trattare prima, spendere meno in cure devastanti e — dettaglio che i fondi non trascurano mai — capitalizzare su margini più alti e cicli di vendita più rapidi.
La benedizione di Alibaba attraverso lo Jumpstarter contest, vinto da Pharus a marzo, è un altro segnale che il progetto ha appeal anche fuori dall’ambiente strettamente medico. Cindy Chow, CEO dell’Alibaba Entrepreneurs Fund, conferma che ci sono già investitori interessati e che AEF stesso sta valutando un ingresso diretto. Non è filantropia: è business con l’intuito del tech e la logica del portafoglio venture. In altre parole, Pharus ha tutte le carte in regola per diventare il nuovo unicorno della diagnostica AI-driven, almeno se riesce a mantenere la promessa scientifica e a sopravvivere al burn rate feroce del biotech.
In un mercato dove i test genetici e i biomarcatori sono ancora in fase di digestione da parte delle autorità regolatorie e dei sistemi sanitari, Pharus si posiziona come l’outsider lucido e metodico. Nessuna rivoluzione di facciata, ma un lavoro meticoloso che punta alla penetrazione del mercato tramite alleanze strategiche, licenze forti e una pipeline credibile. In tempi in cui molte startup biotech promettono di rivoluzionare il mondo con una slide animata in PowerPoint, Pharus sembra volerlo fare con un algoritmo e un piano clinico concreto.
Il futuro? Probabilmente una exit da manuale o una IPO strategica su qualche piazza asiatica prima che i giganti del pharma decidano che è il momento di acquistare tecnologie invece di svilupparle internamente.