In un mondo dove ogni click, prompt o inferenza AI consuma watt su watt, le big tech si stanno finalmente guardando allo specchio e ponendosi una domanda più scomoda del solito: da dove prenderemo tutta questa energia? Non è una questione retorica né futuristica, ma estremamente urgente. E Google, con la solita mossa che sa di anticipazione profetica e ottimizzazione fiscale mascherata da sostenibilità, ha appena annunciato un accordo strategico con Elementl Power per esplorare tre siti candidati all’installazione di reattori nucleari avanzati negli Stati Uniti.
Questo non è l’ennesimo comunicato stampa verde. È un cambio di paradigma. Google non sta solo puntando su energia pulita per lavarsi la coscienza ESG o fare greenwashing da bilancio annuale. Qui si tratta di garantirsi un futuro energetico stabile, costante e scalabile per alimentare i suoi asset più affamati: i data center per l’intelligenza artificiale. Non fotovoltaico intermittente, non pale eoliche danzanti: ma reattori nucleari di nuova generazione, probabilmente modulari (SMR) o basati su design a sali fusi o neutroni veloci, le cui promesse su carta sembrano più solide dei bilanci di OpenAI.
Dietro questa scelta non c’è solo la voglia di decarbonizzare: c’è un chiaro interesse infrastrutturale. Il costo marginale dell’energia per l’AI non è più marginale. Addestrare un modello di linguaggio come GPT richiede energia equivalente a quella consumata da interi quartieri per mesi. E le inferenze, ovvero le risposte quotidiane che fornisce l’intelligenza artificiale agli utenti, aumentano esponenzialmente con la diffusione dell’AI as-a-service. Se non trovi una fonte di energia continua e prevedibile, il futuro è un blackout neuronale.
Google ha dichiarato di voler essere alimentata esclusivamente da energia a zero emissioni 24/7 entro il 2030. Una dichiarazione talmente ambiziosa che, detta da chiunque altro, suonerebbe ridicola. Ma da Mountain View, con i mezzi e le alleanze strategiche che hanno, potrebbe persino sembrare plausibile. E il nucleare diventa quindi non solo una scelta tecnologica, ma geopolitica: meno dipendenza dalla volatilità delle rinnovabili, meno esposizione ai mercati del gas, più controllo sulle filiere energetiche.
Elementl Power, dal canto suo, è uno dei nuovi attori nel teatro del “rinascimento nucleare” americano. Non è un caso che questo annuncio arrivi proprio mentre il governo USA sta spingendo forte su sussidi e semplificazioni normative per reattori avanzati, nell’ambito del Inflation Reduction Act e delle politiche di indipendenza energetica post-pandemia. Google, come al solito, non fa beneficenza: cavalca l’onda quando è alta e conveniente.
L’ipocrisia della Silicon Valley si mostra qui in una delle sue forme più eleganti: dopo decenni di demonizzazione del nucleare nei circoli liberal e nelle conferenze TED con le slide verdi, ora le stesse aziende stanno finanziando a suon di miliardi la tecnologia che potrebbe realmente decarbonizzare l’economia digitale. Il nucleare come unica via pragmatica per un futuro AI-centrico e sostenibile.
Questo è uno spartiacque anche per l’immaginario collettivo. Se Google il tempio del software etereo investe nel nucleare, significa che l’energia è tornata ad essere centrale nel discorso tecnologico. Dopo anni in cui la CPU sembrava l’unico cuore pulsante dell’innovazione, ora è il kilowatt il vero gold standard.