Nel cuore di Washington, sotto le luci compassate del Capitol Visitor Center, Jack Clark cofondatore di Anthropic, ex giornalista e oggi profeta di politiche sull’intelligenza artificiale — ha lanciato un elegante siluro contro una delle startup cinesi più chiacchierate dell’anno: DeepSeek. “Sono ancora indietro di sei-otto mesi rispetto alle aziende americane di frontiera”, ha detto, con quel tono tipico da insider che sa di star dosando veleno e verità in egual misura. Aggiungendo poi, con cinismo d’altri tempi, che l’hype attorno a DeepSeek “è forse un po’ esagerato”.
Dietro la cortina di dichiarazioni diplomatiche si agita però qualcosa di molto più interessante: la lotta per l’egemonia tecnologica globale non si combatte più a colpi di chip, ma di narrative. E qui, DeepSeek ha già vinto una mezza battaglia: è diventata la minaccia plausibile, il “what if” strategico che tiene svegli di notte i think tank americani e fa girare miliardi nella Silicon Valley.
Jack Clark, con quella freddezza da policy strategist più che da tecnico, ha concesso a DeepSeek l’onore di una menzione cauta: “idee algoritmiche interessanti”, ha detto, ma senza l’accesso a “quantità arbitrariamente grandi di capacità computazionale”, non rappresentano una minaccia immediata. Nessun rischio per la sicurezza nazionale, quindi. Come dire: bravi, ma poveri. O se vogliamo, ambiziosi ma in gabbia. Gabbia che, guarda caso, ha le sbarre fatte di silicio americano e regolamenti sull’export.
Ma DeepSeek è tutt’altro che fuori dai giochi. A fine aprile, in perfetto stile cinese — silenzioso, strategico e disarmante — ha rilasciato open source Prover-V2, una bestia da 671 miliardi di parametri specializzata nella risoluzione di teoremi matematici. Mentre tutti aspettano notizie sull’attesissimo modello R2 per il reasoning, la compagnia gioca una partita a scacchi, una mossa alla volta, lasciando che siano gli altri a sudare.
E qui emerge il vero nervo scoperto: costi. La vera rivoluzione di DeepSeek non è tanto nella qualità dei suoi modelli, quanto nel come li ha addestrati. Il rilascio di V3 e R1 — in un arco di soli sette mesi — ha dimostrato che la Cina può sviluppare LLM competitivi in tempi rapidi e a costi contenuti. Una variabile che nessun venture capitalist americano può ignorare. Se è vero che l’intelligenza artificiale è il nuovo petrolio, allora DeepSeek sta trivellando con trapani a basso consumo e margini operativi da sogno.
La risposta americana? Investimenti a pioggia. Anthropic ha appena chiuso un round da 3,5 miliardi di dollari con Amazon, Google e Lightspeed Venture Partners in prima fila, portando la valutazione a 61,5 miliardi. Un chiaro segnale: il mercato americano non si fida né delle rassicurazioni istituzionali né delle analisi da palcoscenico. Quando una startup cinese riesce a scalzare OpenAI nelle metriche di adozione industriale — con modelli usati dal settore agricolo fino alla finanza — le sirene di Wall Street suonano, e non per festeggiare.
Nel frattempo, in Cina, la competizione si fa feroce. Alibaba ha appena presentato la serie Qwen3, otto modelli tra i 600 milioni e i 235 miliardi di parametri, l’ultimo dei quali ha già superato i modelli open di OpenAI e DeepSeek-R1 in linguaggio, matematica, e coding. Un messaggio chiaro: Pechino ha deciso di giocare la carta open-source, e lo fa non per filosofia, ma per strategia. Un ecosistema aperto è più difficile da sanzionare, più facile da replicare, e infinitamente più difficile da controllare.
Il punto allora non è se DeepSeek sia tecnicamente dietro. Il punto è se quella distanza conta ancora qualcosa in un mondo dove l’open source smonta i vantaggi di scala, e il vantaggio politico si misura in secondi di latenza, non in parametri.
La domanda vera, che Jack Clark ha elegantemente evitato, è quanto durerà la supremazia americana prima che l’open source cinese diventi lo standard de facto, non l’eccezione.