Jensen Huang, CEO carismatico e tecnosacerdote di Nvidia, ha appena lanciato una dichiarazione che suona come un SOS con guarnizione di cinismo geopolitico: perdere il mercato dell’intelligenza artificiale cinese sarebbe, parole sue, “una perdita tremenda”. E non è difficile capirne il motivo. Con una stima di crescita che punta dritta a 50 miliardi di dollari nei prossimi due o tre anni, la Cina rappresenta non solo un’opportunità d’oro, ma anche un campo di battaglia dove Nvidia si gioca molto più dei margini: la rilevanza futura.

Dietro la compostezza del linguaggio diplomatico – “sarebbe una tremenda perdita” – si nasconde un senso di frustrazione palpabile. Per Huang, non poter vendere in Cina significa molto più che perdere una linea di ricavi. Significa rinunciare a uno dei pochi mercati in grado di assorbire in massa semiconduttori di fascia alta, di finanziare ulteriori innovazioni, e – qui la lama affonda – di pagare più tasse in patria e generare posti di lavoro americani. Quando Huang dice “il mondo è dinamico, bisogna restare agili”, quello che intende davvero è: “le regole cambiano mentre stiamo vincendo, e noi stiamo pagando il conto”.
La frizione con Washington non è nuova. Gli Stati Uniti, ossessionati dalla supremazia tecnologica, hanno serrato i bulloni dell’export, imponendo restrizioni non solo ai chip avanzati A100 e H100, ma anche ai modelli “depotenziati” A800 e H800, pensati proprio per rispettare i limiti precedenti. Nvidia ha quindi ripiegato sull’H20, un chip progettato chirurgicamente per rientrare nei confini legali. Eppure, anche quello è stato bandito. Tradotto: si gioca a scacchi con una mano legata dietro la schiena, mentre l’avversario cambia le regole a metà partita.
Il danno non è solo teorico. Nvidia ha già messo a bilancio una perdita potenziale di 5,5 miliardi di dollari legata al blocco dell’H20, un colpo diretto al cuore del business asiatico che l’anno scorso valeva il 14% dei ricavi globali, ovvero circa 17,1 miliardi. Se qualcuno pensava che la Cina fosse un mercato “di riserva”, Huang ha appena ricordato che è invece uno dei pilastri della crescita futura.
Ma la vera spina nel fianco non è solo la perdita di mercato. È l’ascesa inarrestabile di Huawei, definita dallo stesso Huang come “una delle aziende tecnologiche più formidabili del mondo”. Mentre Nvidia si muove sotto il peso delle sanzioni, Huawei – pur colpita da restrizioni ancora più dure – ha costruito in silenzio capacità “essenziali per l’AI”, scalando la vetta con una velocità che inquieta Washington e ridicolizza ogni tentativo occidentale di contenerla. Qui il cinismo prende la forma di un paradosso geopolitico: i vincoli voluti per rallentare la Cina stanno, di fatto, accelerando la sua autonomia tecnologica.
Il viaggio a sorpresa di Huang in Cina ad aprile – il secondo in tre mesi – è un segnale chiaro. Non si trattava solo di relazioni pubbliche o strette di mano con il sindaco di Shanghai. C’era in gioco la sopravvivenza commerciale di Nvidia in un mercato che potrebbe presto diventare irraggiungibile. Il dialogo con funzionari come il vicepremier He Lifeng o Ren Hongbin del CCPIT (China Council for the Promotion of International Trade) era, nella forma, diplomazia. Ma nella sostanza era un appello disperato: lasciateci restare, possiamo ancora essere utili.
Huang ha anche chiesto esplicitamente una revisione delle norme statunitensi sull’export di tecnologie AI. Un tentativo di convincere Washington che vietare a Nvidia di vendere in Cina è un boomerang. Non frena la Cina. Frusta le aziende americane, devasta i ricavi, taglia investimenti interni, regala spazio ai competitor locali.
In tutto questo, emerge l’ironia crudele del contesto attuale. Mentre gli USA predicano la supremazia tecnologica e censurano il commercio in nome della sicurezza nazionale, la Cina corre, costruisce, investe. E Nvidia resta bloccata al checkpoint, con il miglior arsenale tecnologico del mondo e un accesso limitato al campo di battaglia.
Il mercato dell’AI non è un tavolo da poker. È un’arena darwiniana, dove l’accesso ai dati, ai capitali e alla domanda conta quanto, se non più, dell’architettura hardware. E mentre Huang continua a scommettere su compromessi e chip “compliant”, il rischio è che altri giochino una partita diversa, dove le regole si scrivono da soli.
Il tempo non è dalla parte di Nvidia. Né da quella dell’America.