La Milken Conference a Los Angeles non è mai stata un luogo per le mezze misure. Ma quest’anno, tra salotti con candele profumate e stretti di mano da miliardi di dollari, si è superato un nuovo limite psicologico. Mentre un tempo ci si stupiva per le manciate di miliardi, ora è solo davanti a numeri cosmici come 6,7 trilioni di dollari – sì, con la “t” – che si drizzano le orecchie. Questa è la stima, secondo un nuovo report di McKinsey, di quanto servirà per costruire i data center che alimenteranno il mostro affamato dell’intelligenza artificiale entro il 2030.
E qui non si parla di app patinate o social network con unicorni e cappellini. Qui si parla di infrastrutture, cavi spessi come braccia umane, raffreddamento liquido, torri elettrificate e kilowatt bruciati come sigarette in una sala trading degli anni ’80. In altre parole: la Silicon Valley ha generato il bisogno, ma sarà il mondo finanziario – quello vero, solido, cinico – a costruirgli la casa.
Non è un caso che la scena madre dell’evento sia stata una cena privata ospitata nientemeno che da Steve Cohen, con a tavola Peter Thiel da un lato e Jon Gray di Blackstone dall’altro. Il primo rappresenta il software, la mente, la narrativa della disruption. Il secondo, il corpo, i muscoli, il cemento armato e il debito strutturato. E il fatto che questi mondi stiano dialogando è forse il vero sottotesto dell’intero evento.
Perché mentre le startup arrancano tra IPO fiacche e valutazioni ridimensionate, i gestori di asset come Gray sono il nuovo centro di gravità. Blackstone, tanto per fare un esempio, ha 80 miliardi di dollari pronti solo per i data center. Per dare un termine di paragone, è più di sei volte l’intero capitale investibile del Founders Fund di Thiel. E questo dovrebbe dire tutto su chi oggi detta legge a tavola.
L’intervento di Jensen Huang, CEO di Nvidia, ha messo il sigillo industriale alla narrativa. Ha parlato di data center come di fabbriche del futuro, ognuna grande come un gigawatt – una cifra che vale tra i 50 e i 60 miliardi. E lui ne prevede a decine, sparse per il globo, entro i prossimi dieci anni. In pratica, stiamo costruendo il sistema nervoso centrale della prossima rivoluzione industriale, un chip alla volta. E sì, serve capitale, tanto capitale.
Il vero business, ora, non è più creare l’intelligenza artificiale, ma offrirle una casa. E quella casa è un’infrastruttura colossale, dove ogni chip Nvidia (di cui tra l’altro c’è carenza globale) diventa un mattone prezioso in una cattedrale energetica. Un dettaglio non irrilevante: questi chip evolvono a una velocità tale da far impallidire qualsiasi piano di ammortamento. Lo ha ricordato Simeon Bochev, ex dirigente AI di Apple ora alla guida di Compute Exchange. Il valore di questi chip potrebbe deteriorarsi molto più rapidamente di quanto Wall Street stia oggi calcolando, rendendo i prestiti strutturati per queste “fabbriche digitali” un gioco pericoloso. Tradotto: chi finanzia data center oggi potrebbe ritrovarsi tra qualche anno con hardware da museo e debiti ancora vivi.
Certo, ci sono voci dissonanti. Un gestore di fondi ha sollevato il timore più classico: e se tutti costruiscono, chi li riempie? Non è che rischiamo di trovarci con la Detroit dei data center? Un cimitero di acciaio e silicio?
Ma finché il sogno dell’IA resta acceso – e Nvidia continua a incassare e innovare – il rischio sembra secondario. L’attuale clima è quello di una corsa all’oro. Solo che, invece di picconi e setacci, servono liquidi di raffreddamento, GPU rare e cablaggi a bassa latenza.
La vera morale? Non è più solo questione di idee, ma di potenza. Non solo di software, ma di immobili industriali, energia e credito privato. La Silicon Valley ha creato il fuoco. Ma sono i signori del mattone, del debito e dei derivati che stanno costruendo i templi.
Nel frattempo, mentre Thiel e Gray si scambiano cortesie e il mercato IPO arranca, i fondi pensione trovano nuova linfa e Wall Street nuove commissioni. Come sempre, tutto torna al denaro. E alla fine, come già sapeva Milken nei gloriosi anni ’80: l’unica vera disruption è quella dei flussi di capitale.
Hai già valutato se i tuoi asset sono esposti o se hai ancora tempo per cavalcare questa nuova bolla industriale?