In una mossa che sa più di chirurgia estetica corporate che di strategia industriale, OpenAI ha deciso di infilare Fidji Simo attuale CEO di Instacart ed ex dirigente di Facebook nella cabina di comando, o meglio, di darle le chiavi di metà astronave. Sì, perché Sam Altman, il profeta dell’AI e l’uomo dietro ChatGPT, ha deciso che forse fare il CEO a tempo pieno è un po’ troppo mainstream, o semplicemente noioso.
La notizia è arrivata l’8 maggio 2025, ma sembrava scritta già mesi fa. Da tempo Altman chiacchierava con amici e colleghi del suo “scarso entusiasmo” nel gestire tutta l’azienda. E così, come chi affitta una villa troppo grande e poi si stanca di gestire piscina, giardino e personale, ha pensato bene di chiamare qualcuno che sappia farlo per lui. Non uno qualunque, ma Simo, la manager che ha trasformato Instacart da startup tech a supermercato digitale di Wall Street.
E qui si apre la domanda che puzza di marketing strategico a chilometro zero: stiamo assistendo a un classico caso di ceowashing?
Nel gergo aziendale più cinico e inquinato, il ceowashing è l’arte di mettere un volto noto, rassicurante, possibilmente femminile e con pedigree Silicon Valley, nei piani alti per placare mercati, investitori e, se serve, anche i sindacati. Simo è carismatica, fotogenica e ha fatto fare soldi veri ad aziende reali, roba che nel mondo dell’intelligenza artificiale generativa, ancora in piena fase “promessa”, vale come oro.
Altman rimane comunque saldamente incollato alla parte più “nobile” – ricerca e infrastruttura – cioè le aree dove si decide davvero cosa sarà l’AI dei prossimi cinque anni. In pratica, lascia la gestione delle beghe umane, delle pressioni regulatory e della monetizzazione quotidiana alla nuova arrivata, mentre lui si tiene il laboratorio, i ricercatori e le visioni da fine del mondo. Un classico schema a doppia anima che ricorda da vicino certe mosse viste in Google, Apple e persino Tesla, quando Musk era più interessato a Marte che ai Model 3.
Non è un caso che questo cambio arrivi mentre OpenAI si trova nel bel mezzo di una tempesta geopolitico-tecnologica. L’Europa sforna regole, gli Stati Uniti tentennano tra laissez-faire e controllo centralizzato, la Cina accelera senza farsi troppe domande etiche. Altman ha bisogno di una figura che sappia fare da scudo, da parafulmine e da volto umano. Fidji Simo è tutto questo.
Ma è anche una mossa rischiosa. Perché se l’AI si sposterà sempre più dal laboratorio al mercato – dalle API per sviluppatori alle integrazioni verticali – la leadership divisa può diventare una zavorra. Chi comanda davvero? Chi decide la roadmap strategica? E se Altman mollasse del tutto il titolo di CEO, cosa diventerebbe OpenAI? Una nuova Instacart della mente, o un Frankenstein manageriale?
Per ora, la sensazione è che sia tutto un enorme test A/B. Fidji gestirà, Sam penserà, gli investitori osserveranno. Ma il messaggio è chiaro: il volto pubblico di OpenAI sta cambiando. Non è più solo il visionario inquieto con l’aria da studente eterno. È un brand che gioca al livello delle grandi piattaforme. E per farlo, serve management, storytelling e – soprattutto – qualcuno che sappia domare la macchina da soldi che stanno costruendo.
La Silicon Valley, ancora una volta, insegna che la leadership non è solo questione di controllo. È teatro, percezione e gestione del rischio reputazionale. Il ceowashing, alla fine, è solo l’evoluzione naturale del personal branding in un mondo dove i CEO valgono più dei prodotti che vendono.