Mentre il mondo continua a cercare su Google, in Cina si sta aprendo una crepa che potrebbe diventare una voragine. Alibaba Group Holding, il colosso tech di Hangzhou che controlla tutto tranne il meteo, ha lanciato attraverso la sua app di intelligenza artificiale Quark una funzione battezzata “deep search”. E no, non è l’ennesimo restyling da due soldi: è un tentativo serio e strutturato di buttare giù il vecchio impero della ricerca online per costruirne uno nuovo, alimentato non da parole chiave, ma da ragionamenti e connessioni semantiche.
Quark, che fino a ieri sembrava il cugino nerd di Baidu, oggi si propone come “assistente AI a tutto tondo”, un’intelligenza sintetica che quando riceve una domanda non si limita a frugare tra URL impolverati, ma analizza, cerca online in più fasi, ragiona ancora, e solo dopo emette una risposta. In altre parole, più che un motore di ricerca, un cervello di ricerca. Il tutto grazie ai modelli Qwen, la famiglia di foundation models sviluppata internamente da Alibaba, capaci di tenere testa – sulla carta – anche a GPT e Gemini.
Il tempismo è perfetto. Gli utenti cinesi, e non solo loro, si stanno progressivamente staccando dai browser tradizionali: secondo Eddie Cue di Apple, perfino le ricerche su Safari sono calate per la prima volta in 22 anni. Tradotto: gli utenti non cercano più, chiedono. A una AI. E Quark sta cavalcando questo cambiamento con la leggerezza di chi ha già visto il futuro.
Non a caso, dalla sua uscita a marzo, Quark è diventata l’app AI più popolare in Cina, sorpassando rivali come Doubao (figlio di ByteDance, quindi con backing TikTok) e DeepSeek. Il trionfo non è solo estetico: secondo Aicpb.com, che monitora il mercato delle AI, Quark domina l’engagement. Anche perché non è confinata agli smartphone: la funzione “deep search” è attiva ovunque, anche su PC, e soprattutto si integra già in flussi di lavoro esistenti, senza forzature UX da startup in crisi d’identità.
La promessa, fatta dal capo della divisione Search di Quark, Zhang Fan, è chiara: focus totale sui bisogni dell’utente e perfezionamento continuo dell’esperienza. In altre parole, Alibaba non vuole solo giocare la partita: vuole riscrivere le regole.
Naturalmente, non sono i primi. Moonshot AI, con il suo chatbot Kimi, aveva già mostrato che si può fondere ricerca e ragionamento. Ma Alibaba ha una cosa che Moonshot non ha: scala. Risorse. Infrastruttura. E un’agenda geopolitica. Perché sì, questo non è solo business, è anche soft power digitale. È la Cina che alza la mano e dice: “Ora si cerca come diciamo noi”.
Nel frattempo, Google continua a macinare numeri mostruosi: 1,63 trilioni di visite tra aprile 2024 e marzo 2025. Un calo dello 0,51%? Roba da ridere. Ma attenzione: questi numeri non raccontano tutto. L’erosione è lenta, ma inesorabile. I chatbot hanno ancora quote marginali, ma è proprio ora che le curve cominciano a incrociarsi.
E quando succederà, chi sarà in vantaggio? Chi gestisce server in Oregon o chi addestra modelli a Hangzhou?