In un mondo aziendale che si aggrappa disperatamente a qualsiasi buzzword possa suonare futuristica durante un consiglio di amministrazione, l’intelligenza artificiale generativa si è trasformata in una nuova forma di spettacolo aziendale. Una messinscena lucidata a dovere da power point, executive summary e sessioni di design thinking che odorano di caffè bruciato e PowerBI.

La media? Cinque milioni di dollari a progetto. L’impatto? Una probabilità su dieci di ottenere un risultato che valga qualcosa.

Benvenuti nella GenAI economy, dove fallire non è un incidente, ma parte integrante del piano economico. Ecco cosa succede veramente quando le aziende firmano quei contratti da sette zeri con le grandi società di consulenza.

Il rito tribale della consulenza generativa

Una volta firmato il contratto, l’azienda cliente viene accolta in un rituale familiare. Le “sessioni di scoperta” iniziali, identiche da Milano a Singapore, servono a dare l’illusione di personalizzazione. Segue un assessment della maturità AI, che suona sofisticato ma è essenzialmente un test BuzzFeed per capire se l’azienda è più simile a un algoritmo predittivo o a un fax rotto.

Poi arrivano le proposte, che sono sempre le stesse. Non importa il settore o il problema. L’offerta ruota intorno a quattro cliché: chatbot, ricerca documentale intelligente, sintesi automatica e forecast. È il “kit di sopravvivenza GenAI” confezionato per sembrare tailor-made ma in realtà preconfezionato come un menù degustazione per clienti che non vogliono scegliere.

Questa standardizzazione è deliberata. La chiamano repeatable playbook e serve a minimizzare il tempo, ridurre i rischi legali e massimizzare la fatturazione. L’originalità? Un costo evitabile.

Il modello economico del fallimento prevedibile

Quello che le società di consulenza non dicono, ma sanno benissimo, è che questi progetti non sono pensati per funzionare davvero. Il fallimento è una feature, non un bug. Secondo il Boston Consulting Group, solo 1 su 10 dei progetti di AI generativa arriva a scalare realmente. Il resto si arena tra resistenze interne, compliance asfissiante, modelli linguistici che inventano fatti e middle management in perenne stato di panico.

Ma il fallimento non li tocca. Non vengono pagati per realizzare cambiamento. Vengono pagati per vendere l’idea che il cambiamento stia accadendo.

Il core business non è la trasformazione, è la sua estetica.

E quindi le aziende si ritrovano con:

  • Un deck da 70 slide pieno di frecce colorate e acronimi
  • Un MVP che non passa il comitato etico
  • Un articolo su Forbes con il CEO che dice “siamo diventati AI-first”
  • Un “AI Center of Excellence” senza personale e senza budget
  • Un team confuso che cerca di spiegare perché tutto è ancora uguale a prima

La tragedia dell’unicità omologata

E se, per un colpo di fortuna o pura forza di volontà, il progetto funziona davvero? Non cambia nulla. Perché anche tutte le altre aziende hanno comprato lo stesso pacchetto.

Quando l’innovazione è replicata in serie, diventa una commodity.

Deployare un chatbot che fa le stesse cose del tuo concorrente non ti dà vantaggio competitivo. Al massimo ti permette di perdere con più stile.

Alla fine, la vera innovazione è rimandata. Le aziende pagano per una narrazione, una foto di gruppo e un QR code sul report annuale. Ma la sostanza? Quella non la fornisce nessuno. Perché costa fatica, richiede rischio, impone cambiamento reale.

Ed è molto meno redditizia di un engagement da 5 milioni che garantisce zero accountability e massima visibilità.

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Sources:
Virtasant – Big Five Consulting Firms Betting Billions on AI (2024)
virtasant.com

Boston Consulting Group – Closing the AI Impact Gap (2023)
bcg.com

Accenture Q4 FY24 Earnings – $3B in GenAI bookings
marketwatch.com