Benvenuti nella fase “Cyberpunk IPO” del capitalismo: startup che esistono da dodici mesi e chiedono un miliardo di dollari di valutazione, cani robot che fanno faccende domestiche, e venture capitalist che buttano milioni come se fosse ancora il 2021. Foundation, la startup dell’ex CEO della compianta (e compromessa) Synapse, è la punta dell’iceberg: un fondatore reduce da un fallimento fintech, ora reinventa sé stesso nel settore più hype dell’era post-GPT la robotica.

Chiariamoci subito: il fatto che Foundation cerchi capitali con una valutazione a nove zeri dopo solo un anno è già tragicomico. Ma nel contesto attuale, è quasi normale. Perché siamo nel mezzo di un’orgia speculativa nel settore della robotica AI-driven, alimentata dal miraggio di rendimenti futuri, hype mediatico e una massiccia (quasi patologica) paura di restare indietro.

Skild AI, altro nome fresco del circuito degli investitori top-tier, sta chiudendo un round da 500 milioni con una valutazione pre-money di 4,2 miliardi. Attenzione: non post-money. Pre. E questa startup ha iniziato a generare revenue solo di recente, con un ARR stimato intorno ai 30 milioni per fine anno. Lo chiamano growth story, ma ricorda più una sceneggiatura di Hollywood che un business plan. E nel ruolo degli “executive producers” troviamo i soliti sospetti: SoftBank, Sequoia, Lightspeed, CRV, General Catalyst. Gli stessi fondi che hanno finanziato la bolle dei monopattini elettrici, del delivery on demand e dei crypto-wallet con grafica 8-bit.

E non sono soli. Agility sta rastrellando 400 milioni, Figure AI ambisce a 1,5 miliardi di dollari su una valutazione da 40 miliardi — praticamente più di quanto valesse Twitter prima dell’epoca Musk. Nel frattempo, startup ancora più giovani, specializzate in mani robotiche a cinque dita (sì, proprio così), raccolgono milioni in seed round. L’intero settore sembra uno spin-off finanziario di Black Mirror.

Cosa sta guidando questa follia? Prima di tutto, la narrativa. La robotica ha finalmente un alleato serio: i modelli fondamentali di intelligenza artificiale. L’accoppiata hardware+AI, una volta costosissima e imprevedibile, oggi è sexy e apparentemente scalabile. E se Sam Altman — durante una testimonianza al Senato — dichiara che “la robotica AI porterà i guadagni di produttività nel mondo fisico entro il 2027”, allora puoi scommettere che ogni VC degno di questo nome firmerà assegni prima ancora di vedere un prototipo funzionante.

Eppure, non tutto è siliconato e luccicante. I costi dell’hardware sono in salita, in parte per effetto delle tariffe sui componenti cinesi, in parte per la pressione competitiva delle aziende tech della Repubblica Popolare, che sfornano umanoidi sorprendentemente avanzati a una frazione del costo. Senza dimenticare i colossi occidentali che si stanno svegliando: Google è tornata a trafficare con la robotica (di nuovo), e Tesla continua a mostrare teaser inquietanti del suo Optimus mentre taglia i prezzi delle sue auto elettriche.

Nel frattempo, SoftBank — reduce dalla sua traumatica love story con Boston Dynamics — sembra voler riscattarsi a suon di mega-round. Investe in Skild AI, finanzia OpenAI con 40 miliardi per il suo eventuale ingresso nella robotica. Sì, 40 miliardi. Che fa quasi ridere, se non fosse che potrebbero davvero cambiare gli equilibri geopolitici del lavoro automatizzato.

Il paradosso è evidente: questi robot non sono ancora pronti per il prime time, ma il capitale si comporta come se già dominassero catene di montaggio e ospedali. I ricavi veri sono ancora pochi e timidi, e il product-market fit è spesso più un pitch che una realtà. Eppure, nella bolla di ossigeno della tech finance, ciò che conta è essere dentro prima che l’onda esploda. O collassi.

Nel frattempo, il lavoratore umano osserva da bordo campo, sperando di non essere sostituito da un bipede in titanio capace di fare la sua mansione senza pause pipì, sindacati o crisi esistenziali.

In questa corsa, non è più il first mover advantage a dominare, ma il first to raise advantage. Il robot perfetto potrebbe non esistere ancora. Ma il capitale sì. E tanto basta.