Idji Simo, la manager col pedigree da big tech (Facebook, Instacart, ora OpenAI), prende le redini delle “applicazioni” di OpenAI, in un passaggio tanto ordinato quanto sospetto. Lascia il consiglio di amministrazione dell’azienda nello stesso istante in cui ne assume un ruolo operativo cruciale. La notizia – se così possiamo ancora chiamarla – è stata confermata da un portavoce, che è come dire “niente da vedere, tutto sotto controllo”, mentre nel frattempo cambia il volto della governance di una delle entità più potenti e opache del tech moderno.

Ma il punto non è lei. Il punto è il marketing. E il fatto che oggi una notizia non esiste se non è progettata. Curata. Ottimizzata per il feed, per l’algoritmo, per l’indignazione in tempo reale e per la dimenticanza immediata. La realtà – quella noiosa, con le date, i poteri, i ruoli, gli effetti collaterali – è ormai un prodotto collaterale del contenuto.

Simo arriva mentre Altman decide di “dedicarsi alla ricerca”. Tradotto: fa un passo indietro da operativo per diventare il prete-mago della nuova chiesa AI. Un po’ DeepMind, un po’ Kurzweil. Intanto, lei, l’esecutiva che ha trasformato Instacart in una tech company e non solo in una logistica da supermercato, eredita il compito più sporco e più redditizio: monetizzare l’uso gratuito. Trasformare i chatbot in agenti. Rendere OpenAI una piattaforma. Un sistema operativo. Forse un’azienda post-azienda.

Ma se pensi che questa sia una notizia, sei fuori strada. Questa è una campagna.

Una mossa in tre atti, recitata meglio di un trailer Marvel: 1) annuncio della crescita futura (“125 miliardi entro il 2029”, cifra tonda, orizzonte perfetto per i fondi growth), 2) transizione interna gestita “con trasparenza” (termine feticcio che da solo dovrebbe farti insospettire), 3) lancio della nuova era delle app, che non sono app ma ambienti cognitivi controllati.

Il marketing oggi gestisce la notizia così: smettendo di raccontarla.

Non la lancia, la disegna. Non informa, simula informazione. I portavoce non rispondono, attivano sequenze. Le PR si sono trasformate in un ramo dell’ingegneria conversazionale. I social media manager ormai fanno prompt engineering. Il risultato? Quando leggi “Simo lascia il board”, quello che ti rimane davvero in testa è: OpenAI cresce, diventa utile, sa quello che fa. Sottotesto: “Comprare il prodotto è una buona idea. Investire ancora meglio”.

“Una notizia è quando qualcosa che qualcuno non vuole venga pubblicato, tutto il resto è pubblicità”. Questa frase la attribuiscono a Orwell, ma probabilmente l’ha detta un copywriter ubriaco al bar, e va bene così.

Perché oggi il marketing non vuole più che tu distingua. Il fatto che Simo lasci il consiglio per guidare le applicazioni è un’ottima notizia per il marketing. Toglie l’ambiguità. Le mani sulla leva, ma fuori dallo scrutiny. Può fare cose, senza che nessuno si chieda perché le fa. E il messaggio che viene confezionato per il pubblico è cristallino: la nave ha un nuovo comandante operativo, il visionario si concentra sul futuro, e il board è libero da conflitti.

Tutto inizia a sembrare… troppo perfetto.

Come nei comunicati stampa in cui ogni CEO “lascia per motivi personali”, ogni acquisizione è “strategica”, ogni riduzione del personale è “una razionalizzazione”. In realtà, ogni spostamento del potere nel mondo AI non è neutro. È programmato. Per ottimizzare visibilità, rimuovere ambiguità regolatorie, e rafforzare il controllo narrativo.

C’è anche una cosa da capire bene: oggi il marketing lavora con strumenti simili a quelli con cui opera l’intelligenza artificiale. Pattern recognition, predictive modeling, feedback loop. Non racconta il mondo com’è, ma come vuole che venga vissuto. E questa mossa – Simo fuori dal consiglio, dentro nella linea di comando – è un segnale perfetto per i mercati e per il pubblico generalista: OpenAI si sta verticalizzando. Il tempo delle demo è finito, ora si vendono piattaforme.

Gli “agenti” non sono più fantascienza. Sono l’asse portante della nuova monetizzazione: strumenti autonomi che agiscono per conto degli utenti, e sempre più spesso al posto loro. Simo deve farli diventare mainstream. Usabili. Desiderabili. Come un Uber, ma con cervello incorporato. E magari, un po’ di advertising intelligente, in the loop. D’altronde, la signora arriva da Facebook.

Il giornalismo, che una volta avrebbe scavato nei motivi, oggi si limita a ospitare le notizie come fossero product placement. I blog tech applaudono. I fondi aggiornano i fogli Excel. E il pubblico? Il pubblico condivide, commenta e poi si dimentica.

Ma questo non è solo il marketing di una nomina.

È la sceneggiatura di una rivoluzione controllata. Dove ogni spostamento è coreografato, ogni parola è testata su 10 varianti, e la vera informazione – quella ruvida, grezza, contraddittoria – è tenuta fuori. Per “non disturbare la strategia”.

E se ti sembra di leggere una recensione cinica del nuovo episodio di Silicon Valley, forse hai ragione. Ma ricorda: a differenza della serie, qui nessuno ride.