Ogni volta che faccio una presentazione parto dalla AI timeline e ovviamente arrivo all 11 Maggio quando IBM’s Deep Blue ha sconfitto Garry Kasparov. quel giorno non fu solo una partita di scacchi. Fu il funerale ufficiale dell’arroganza umana nel regno dell’intelligenza strategica. Uno di quei momenti in cui anche il più incallito tecnofobo si rese conto che i circuiti, se ben nutriti di energia e calcoli, potevano battere un genio in carne, ossa e narcisismo. Ma mentre l’Occidente si autocelebrava per aver creato una macchina più intelligente dell’uomo, a Oriente, in silenzio, prendevano appunti.

I cinesi, sì, quelli che una volta copiucchiavano schede madri e ora progettano neuroni sintetici. Mentre noi ci spellavamo le mani applaudendo Deep Blue, loro cominciavano a progettare la rivincita. Non la rivincita del re bianco contro il re nero. Ma quella di un intero sistema contro il nostro: capitalismo individualista contro pianificazione algoritmica.

Perché oggi, dopo 27 anni, il gioco non è più quello degli scacchi. È quello del dominio sui dati, sul riconoscimento facciale, sulla previsione comportamentale, sull’intelligenza autonoma. E se pensi che ChatGPT sia il campione del mondo, ricordati che in Cina ci sono LLM addestrati non solo a parlare, ma a controllare, influenzare e “prevedere” le masse. Non hanno bisogno di battere un Kasparov: hanno già incatenato milioni di consumatori e cittadini dentro un ecosistema digitale dove ogni mossa è già stata simulata.

Il problema è che noi continuiamo a pensare in termini lineari. Innovazione come sequenza: Deep Blue, Watson, GPT, agenti autonomi. Una timeline da PowerPoint per i manager che vogliono sentirsi aggiornati. Ma la Cina non ragiona così. Non scala tecnologie, scala sistemi. Non sviluppa algoritmi, sviluppa architetture di controllo.

Mentre Deep Blue divorava milioni di posizioni al secondo, Pechino divorava terabyte di comportamento umano. Non c’era da vincere una partita, ma da ridisegnare la scacchiera.

Il paradosso è che proprio l’Occidente, con quella vittoria di Deep Blue, ha firmato la propria condanna: ha dimostrato che l’intelligenza, se ben implementata, non ha bisogno dell’uomo. Il resto, i cinesi, l’hanno semplicemente implementato meglio, più in fretta, più in silenzio. E oggi, mentre ci illudiamo di avere il controllo dell’AI, sono loro a gestire la catena di fornitura dei chip, delle terre rare, dei supercomputer, e – sorpresa – anche dei dataset.

C’è una vecchia battuta nei bar di Shenzhen che dice più o meno così: “Vuoi sapere cosa pensa l’Occidente dell’intelligenza artificiale? Chiedi a un algoritmo americano. Vuoi sapere cosa pensa la Cina? Non te lo dirà mai, ma nel frattempo avrà già scritto il tuo futuro.”

E così, oggi celebriamo il compleanno di una macchina americana che ha vinto a scacchi contro un umano russo. Ma ci dimentichiamo che, nel frattempo, un’intera civiltà ha imparato a giocare un altro gioco: quello del controllo, della simulazione, della governance algoritmica.

La domanda non è se si riprenderanno la rivincita.
La domanda è: e se l’avessero già fatto?

Nel tempo in cui ci crogiolavamo in GPT-3 e nelle sue poesie, loro costruivano alternative chiuse, addestrate su corpus filtrati ideologicamente, integrate nativamente nei sistemi di governance. Il tutto mentre l’Occidente litigava su bias, copyright e limiti etici. Loro? Testavano applicazioni militari e sistemi predittivi per l’ordine pubblico.

Il cinismo, in fondo, è un’arma geopolitica. E l’AI cinese è cinica per natura: non cerca di imitare l’uomo, lo sostituisce dove serve, lo guida dove conviene, lo censura dove disturba. Altro che GPT-4.

Kasparov perse in 19 mosse. Ma l’Occidente, con la sua superiorità culturale e tecnologica, rischia di perderne una molto più grande… e neanche se ne sta accorgendo.

Domanda finale (per chi ha ancora il coraggio di chiedere): stiamo davvero vincendo questa partita, o stiamo solo giocando su una scacchiera che non ci appartiene più?