Eric Arthur Blair creò Winston Smith e Julia, che in quella distopia erano costantemente soggiogati da programmi televisivi attivi 24 ore su 24. Nel ribellarsi, proprio Winston fu sottoposto a elettroshock, fino a piegare il suo pensiero.

conversazioni con S.Scrivani

Se pensavi che l’assistente vocale fosse quel giocattolino impacciato che ti sbaglia l’ultima parola ogni volta che chiedi “spegni le luci in salotto”, preparati: Google sta liberando Gemini, la sua intelligenza artificiale conversazionale, su ogni dispositivo con uno schermo e una connessione. E no, non per giocare a fare l’assistente vocale 2.0. Qui si parla di un’infiltrazione strategica nel tuo ecosistema digitale personale, dal divano al cruscotto, fino al polso e al metaverso di Samsung.

Non lo chiamano più Assistant, perché ormai siamo ben oltre. Il branding “Gemini” non è casuale: evocativo, mitologico, quasi mistico, perfetto per farci dimenticare che sotto c’è sempre lo stesso vecchio Google che ti mostrava banner pubblicitari per tre settimane dopo che avevi cercato “cerotto per calli”.

Intelligenza artificiale conversazionale è la keyword madre. Le figlie minori ma non meno ambiziose: raccomandazioni personalizzate, interazioni naturali e contextual awareness. Il tutto immerso in un’architettura ambientale che fa impallidire il cyberpunk più avanzato: Gemini ti ascolta ovunque, capisce (forse) cosa vuoi davvero, e te lo serve con l’intonazione giusta. Magari mentre sei fermo al semaforo o stai infilandoti le scarpe in fretta.

Google TV è la prima spiaggia. Non aspettarti solo “consigli su cosa guardare”. L’AI ti spiega il sistema solare a misura di tuo figlio, ti consiglia YouTube educativo e ti spinge magari anche un bel film Pixar, il tutto mentre stai ancora decidendo quale pizza ordinare. La TV smette di essere un dispositivo passivo: diventa un tutor, un baby-sitter, un algoritmo semi-onnisciente che conosce meglio dei nonni cosa è adatto per un bambino di 6 anni. “Più tardi quest’anno”, dice Google. Che vuol dire tutto e niente, ma intanto se ne parla.

Nel regno dell’auto, Gemini si infila tra la leva del cambio e il navigatore. Non è più solo questione di “chiama mamma” o “porta al lavoro”. Ora puoi dirgli qualcosa tipo: “portami al distributore mentre vado alle Poste, ma che sia vicino a un parco”. E lui capisce, si adatta, decide. Tu guidi, lui pianifica. Le scelte di percorso diventano opzioni esistenziali. La macchina è il tempio, Gemini il sacerdote. Per ora in rollout “nei prossimi mesi” su Android Auto, e “più tardi” sui veicoli con Google built-in. Traduzione: prima ti convinci, poi te lo installano.

Poi ci sono gli smartwatch. La categoria più sottovalutata, ma che diventa improvvisamente interessante. Gemini su Wear OS promette conversazioni fluide, risposte al volo, niente più dettatura da miniatura. Il concetto è semplice: mentre corri per uscire di casa, lanci una domanda al polso e ottieni una risposta senza neanche formulare bene la frase. È il sogno di ogni manager multitasking e di ogni adolescente ansioso. La voce nella tua testa, stavolta, ti risponde davvero. Anche qui: “coming in the next months”. L’attesa è il nuovo onboarding.

Ma il vero colpo di teatro? Android XR, il visore sviluppato con Samsung. Là dove si gioca la guerra del futuro, tra realtà aumentata e virtuale, Gemini sarà presente. Lo proverai “entro fine anno”. Immagina: visore indossato, mondo alterato davanti agli occhi, e una voce sintetica che ti spiega le regole del gioco o magari ti legge l’ultima email del capo mentre schivi proiettili digitali. Una distopia elegante, finalmente indossabile.

Ecco il punto: non è solo un aggiornamento tecnologico. È la costruzione di un ecosistema neurale distribuito, dove la conversazione è il nuovo input, l’intelligenza artificiale è il nuovo sistema operativo, e tu, utente, sei il nuovo dataset. Non parli più con Google. Vivi dentro Google.

Il paradosso? Non ci dicono quando esattamente arriverà. Tutto “più tardi quest’anno”, “nei prossimi mesi”. Come se fosse importante. Come se il tempo avesse ancora un senso, quando ogni dispositivo attorno a te sta imparando a rispondere alle tue domande prima ancora che tu le faccia.

Intanto Gemini ti osserva. Apprende. Non sbaglia più il nome della via come faceva l’Assistente. Adesso ti consiglia un posto dove fare una passeggiata mentre ricarichi l’auto elettrica e pianifica la tua giornata meglio di un’agenda cartacea giapponese.

La vera domanda non è quando arriverà Gemini. È: sei pronto a lasciarlo entrare ovunque?

Curiosità da bar dei daini: in greco, gemini vuol dire “gemelli”. Perché? Perché uno è l’umano, l’altro è l’algoritmo. E ogni giorno, quei due si somigliano un po’ di più.